Riemergo e sputo l’acqua attraverso il tubo con un colpo violento del diaframma.
Sto facendo quello per cui sono nato, immergermi.
A quattro anni scappavo alla mamma, che essendo montagnara non aveva un gran rapporto con l’acqua, rimbalzavo sul fondo fino a quando non toccavo più.
Continuavo ad avanzare sempre saltellando riuscendo a riemergere a stento, poi tornavo indietro.
La mamma ha pianto un paio di volte, più di due volte mi ha dato uno schiaffo con quelle lunghe dita che sapevano di buono, poi mi abbracciava.
Solo dopo ho iniziato a nuotare, quello che mi interessava l’avevo già imparato.
Mi piacciono i primi dieci metri, quelli con maggior biodiversità.
Quando vado oltre, quando divento negativo, mi prende la struggente voglia di rimanere lì per sempre, leggero plano verso il basso senza muovere un muscolo, consumo il minimo di ossigeno e non ho voglia di risalire.
Troppo pericoloso, so cos’è la sincope anossica .
Vorrei essere una foca, cazzo, trenta minuti di apnea, ma ci pensi.
Sono un predatore e non so come conciliare questa attitudine con l’amore morboso che provo per tutte le creature marine.
Perdo ore ad osservare il fondo, i pesci, alghe, gasteropodi, lamellibranchi eccetera.
Voglio diventare Jaques Cousteau, poi vedo una sogliola sul fondo di sabbia, che mi guarda con i suoi occhi migrati sul fianco destro, la sogliola li ha sul destro il rombo sul sinistro, mi fermo e la osservo.
Ho fatto una cazzata, nella fretta di partire ho lasciato metà attrezzatura a casa per cui sono conciato come un pazzo, maschera, cintura di piombi, un costume del signor B. a righe bianche e blu che mi sta enorme, coltello da sub legato al polpaccio destro, un filo porta pesci che mi sono costruito con spago, un turacciolo e un pezzo di ferro.
Mi sono scordato muta, pinne e fucile subacqueo, il cuoco mi ha dato un lungo forchettone da arrosti che ho legato su di un manico da frattazzo, con una lima ho fatto due piccoli ardiglioni sui denti della forchetta.
Inspiro una prima volta ed espiro lentamente fino a svuotare completamente i polmoni, inspiro ancora fino a sentire la giusta sensazione in fondo alla gola abbassando il diaframma per riempirmi al massimo, eseguo la capovolta, mi levo il tubo dalla bocca e con un colpo di gambe e della mano libera piombo verso il fondo.
La sogliola fa tutto quello che può, si interra completamente e cambia colore grazie ai cromatofori.
Ne distinguo comunque la sagoma, con un movimento secco del braccio destro la inchiodo al fondale.
E’ enorme e si dibatte , mentre riemergo la prendo con pollice ed indice della mano sinistra, una volta a galla la infilo nel mio porta pesci.
Metto la testa sottacqua e urlo la mia gioia, sono stanco e nel carniere ci sono tre seppie un polpo e altre due sogliole.
Salto sul gommoncino e ritorno alla base.
Di poppa, sotto alla bandiera tedesca, ci sono il babbo ed il cuoco che fumano ed hanno uno sguardo un po’ preoccupato, forse sono stato via troppo. Appena giro dietro la barca e mi avvicino alla scaletta tiro fuori i pesci e glieli faccio vedere tendendo il braccio destro sopra la testa.
Ridono come matti e si battono le pance prominenti con il palmo delle mani.
“ A’ magnan un po’ ‘d pesc stsera?”
“ Ven a bord ninin che e pens me”
Che gioia.
venerdì 27 febbraio 2009
giovedì 26 febbraio 2009
Magia
“ Ba’ , ma è vero che Spaccafurminati si era ristretto?”
Stiamo mangiando nella cucina, il cuoco ha fatto una spigolona al forno con le verdure, vernaccia ghiacciata ed ora stiamo mangiando la pesca tuffata nel vino rosso.
Il babbo taglia la pesca pelle e tutto in piccoli pezzi, la mette nel bicchiere colmo, poi la infilza col coltello e la porta alla bocca.
“ Al sa ‘d cul ‘d ner sudat”
Effettivamente fa schifo però l’epiteto contro il nero mi ha fatto venire in mente il suo periodo “arabo” e Spaccafurminanti ne faceva parte.
Erano ormeggiati a Alessandria d’Egitto con un piccolo mercantile subito dopo la guerra, la nave era stata sequestrata e facevano la fame.
Spacca era un vecchio marinaio con un’abilità manuale mostruosa ed un’ingegno proporzionato.
“I sa far i pè alle mosce”
Con gli arabi non andavano molto d’accordo perché provavano continuamente a fottergli il carico dalla stiva e avevano provato anche l’assalto stile Sandokan.
Risultato sul babbo setto nasale deviato, un dente estratto dalla sua schiena dopo due settimane dalla rissa, un giorno di galera perché aveva staccato un orecchio con il manico di una fiocina ad un gendarme intervenuto per sedare il casino.
Degli arabi nessuna notizia ma secondo me non stavano bene.
Insomma provavano a sopravvivere in attesa che venisse dissequestrata la nave e nottetempo il babbo sentiva dei rumori strani provenire dalla cabina di Spacca.
“ A un cert punt la nave al’ à cuminciat a sbandar a dritta, e non capivo perché, avevo controllato il carico, le casse di zavorra, i doppifondi, niente.
Ho cominciato a controllare le cabine e quella di Spaccafurminanti aveva qualcosa di strano, anche lui era strano, sembrava più gobbo e più piccolo, ho pensato fosse un po’ denutrito ma mi sembrava strano, era lui che ci procacciava da mangiare con le sue trappole.
Costruiva trappole per uccelli e nasse per i pesci e non ho mai mangiato tanti storni come in quel periodo.”
“ E quindi?”
“ L’ho controllato e ho scoperto che faceva un commercio strano, quando catturava un gabbiano con le ossa delle zampe costruiva dei bellissimi bocchini intarsiati che poi barattava con i gendarmi in cambio del libero accesso a tutto il porto. Una notte ha lasciato la porta della cabina aperta e l’ho visto che con un pentolino fondeva del metallo per farne dei piccoli lingotti. Ho bussato e gli ho chiesto cosa stesse facendo, lui ha confessato che rubava zinco e piombo e lo stivava in cabina.
Aveva smontato completamente tutte le paratie, accorciato il letto, ridimensionato armadi e suppellettili per avere più spazio e lasciare inalterate le proporzioni e poi si era ristretto per non far vedere la differenza. C’erano quattro tonnellate di lingotti che gli ho fatto riscaricare , morti di fame sì, ladri mai.”
Cazzo che storia….
Stiamo mangiando nella cucina, il cuoco ha fatto una spigolona al forno con le verdure, vernaccia ghiacciata ed ora stiamo mangiando la pesca tuffata nel vino rosso.
Il babbo taglia la pesca pelle e tutto in piccoli pezzi, la mette nel bicchiere colmo, poi la infilza col coltello e la porta alla bocca.
“ Al sa ‘d cul ‘d ner sudat”
Effettivamente fa schifo però l’epiteto contro il nero mi ha fatto venire in mente il suo periodo “arabo” e Spaccafurminanti ne faceva parte.
Erano ormeggiati a Alessandria d’Egitto con un piccolo mercantile subito dopo la guerra, la nave era stata sequestrata e facevano la fame.
Spacca era un vecchio marinaio con un’abilità manuale mostruosa ed un’ingegno proporzionato.
“I sa far i pè alle mosce”
Con gli arabi non andavano molto d’accordo perché provavano continuamente a fottergli il carico dalla stiva e avevano provato anche l’assalto stile Sandokan.
Risultato sul babbo setto nasale deviato, un dente estratto dalla sua schiena dopo due settimane dalla rissa, un giorno di galera perché aveva staccato un orecchio con il manico di una fiocina ad un gendarme intervenuto per sedare il casino.
Degli arabi nessuna notizia ma secondo me non stavano bene.
Insomma provavano a sopravvivere in attesa che venisse dissequestrata la nave e nottetempo il babbo sentiva dei rumori strani provenire dalla cabina di Spacca.
“ A un cert punt la nave al’ à cuminciat a sbandar a dritta, e non capivo perché, avevo controllato il carico, le casse di zavorra, i doppifondi, niente.
Ho cominciato a controllare le cabine e quella di Spaccafurminanti aveva qualcosa di strano, anche lui era strano, sembrava più gobbo e più piccolo, ho pensato fosse un po’ denutrito ma mi sembrava strano, era lui che ci procacciava da mangiare con le sue trappole.
Costruiva trappole per uccelli e nasse per i pesci e non ho mai mangiato tanti storni come in quel periodo.”
“ E quindi?”
“ L’ho controllato e ho scoperto che faceva un commercio strano, quando catturava un gabbiano con le ossa delle zampe costruiva dei bellissimi bocchini intarsiati che poi barattava con i gendarmi in cambio del libero accesso a tutto il porto. Una notte ha lasciato la porta della cabina aperta e l’ho visto che con un pentolino fondeva del metallo per farne dei piccoli lingotti. Ho bussato e gli ho chiesto cosa stesse facendo, lui ha confessato che rubava zinco e piombo e lo stivava in cabina.
Aveva smontato completamente tutte le paratie, accorciato il letto, ridimensionato armadi e suppellettili per avere più spazio e lasciare inalterate le proporzioni e poi si era ristretto per non far vedere la differenza. C’erano quattro tonnellate di lingotti che gli ho fatto riscaricare , morti di fame sì, ladri mai.”
Cazzo che storia….
martedì 24 febbraio 2009
Fraccanzani
E’ una settimana che siamo in attesa del Signor B., nel frattempo abbiamo tirato a lucido la barca, lavata ed asciugata, lucidati tutti gli ottoni, riportata la sala macchina all’usuale pulizia di un tempio.
Ho preso confidenza con il gommone, sia lo Zodiac che il Callegari.
Quest’ultimo è il mio preferito, è piccolissimo, meno di tre metri, e con il 9.9 cv johnson raggiunge una velocità spaventosa, penso tocchi l’acqua solo con l’elica.
Lo guido alla rovescia usando la mano destra, questo mi costringe a delle evoluzioni quando viro verso dritta perché la barra mi si insacca nel fianco destro ma così riesco a controllare il mezzo perfettamente, mi incastro di traverso fra i tubolari, prendo con la mano sinistra la barbetta di prua e volo per la rada spaventando banchi di muggini che bollano tranquilli a galla e inseguendo gabbiani e cormorani sul pelo dell’acqua.
Non sono l’unico che spacca le palle ai bagnati e naviganti.
C’è pure Fraccanzani.
Fraccanzani è l’antagonista di mio padre, un bel quarantenne abbronzato con la passionaccia per lo sci nautico e un sacco di pila.
Tutte le settimane parte in aereo da Milano, sbarca a Olbia e si insedia all’Hotel sulla baia.
Immediatamente dopo si presenta da Marko per l’allenamento.
Marko è un orso austriaco simpaticissimo, mio padre lo adora, ha una scuola di sci nautico con un motoscafo bellissimo e una strano sfogo intorno alla bocca, secondo lui è per il sole, secondo il babbo perché travasa la benzina con troppa leggerezza, secondo me è colpa delle francesi che si porta sul motoscafo.
Insomma Fraccanzani ingaggia Marko e comincia a girare per il parco boe dove è consentito fare sci.
Cazzo è bravissimo, disegna delle traiettorie perfette alzando mezzelune d’acqua verso l’esterno della curva, la cosa che preferisco è quell’attimo di stallo che precede l’impostazione della curva, resta quasi sospeso, lascia il trapezio con una mano, si inclina, accelera e sfiora la boetta con il braccio e con la testa .
Bellissimo.
Il babbo lo odia perché prova a tutte le ore, specie la mattina e la sera, e soprattutto perché viene a girare anche intorno alle barche in rada, cosa che sarebbe proibita.
L’anno scorso gli ha chiarito la faccenda tirandogli dietro un mezzo marinaio e questo non ha migliorato i rapporti.
Oggi Fraccanzani è veramente in forma, ha fatto undici delle dodici boe con una classe da campione, il babbo ha fumato una stecca di MS e ha stritolato tra le mani l’accendino.
La dodicesima boa prima dell’uscita la prende con un po’ di ritardo, prova a rimediare ma si schianta di faccia contro il galleggiante.
Non faccio in tempo a trasalire che sento il rumore del gommone che si allontana a balla, il babbo e Marko tirano su il Fraccanzani che sanguina copiosamente dal naso e che sembra sputare denti come noccioli di pesca.
Lo portano in albergo dove viene soccorso ed il babbo rientra un po’ triste.
“ Bà, ma in’t stev sui cojon?”
“ I’m à levat la suddisfazion d’ rumpiri il nas”
Secondo me fa così ma gli dispiace.
Ho preso confidenza con il gommone, sia lo Zodiac che il Callegari.
Quest’ultimo è il mio preferito, è piccolissimo, meno di tre metri, e con il 9.9 cv johnson raggiunge una velocità spaventosa, penso tocchi l’acqua solo con l’elica.
Lo guido alla rovescia usando la mano destra, questo mi costringe a delle evoluzioni quando viro verso dritta perché la barra mi si insacca nel fianco destro ma così riesco a controllare il mezzo perfettamente, mi incastro di traverso fra i tubolari, prendo con la mano sinistra la barbetta di prua e volo per la rada spaventando banchi di muggini che bollano tranquilli a galla e inseguendo gabbiani e cormorani sul pelo dell’acqua.
Non sono l’unico che spacca le palle ai bagnati e naviganti.
C’è pure Fraccanzani.
Fraccanzani è l’antagonista di mio padre, un bel quarantenne abbronzato con la passionaccia per lo sci nautico e un sacco di pila.
Tutte le settimane parte in aereo da Milano, sbarca a Olbia e si insedia all’Hotel sulla baia.
Immediatamente dopo si presenta da Marko per l’allenamento.
Marko è un orso austriaco simpaticissimo, mio padre lo adora, ha una scuola di sci nautico con un motoscafo bellissimo e una strano sfogo intorno alla bocca, secondo lui è per il sole, secondo il babbo perché travasa la benzina con troppa leggerezza, secondo me è colpa delle francesi che si porta sul motoscafo.
Insomma Fraccanzani ingaggia Marko e comincia a girare per il parco boe dove è consentito fare sci.
Cazzo è bravissimo, disegna delle traiettorie perfette alzando mezzelune d’acqua verso l’esterno della curva, la cosa che preferisco è quell’attimo di stallo che precede l’impostazione della curva, resta quasi sospeso, lascia il trapezio con una mano, si inclina, accelera e sfiora la boetta con il braccio e con la testa .
Bellissimo.
Il babbo lo odia perché prova a tutte le ore, specie la mattina e la sera, e soprattutto perché viene a girare anche intorno alle barche in rada, cosa che sarebbe proibita.
L’anno scorso gli ha chiarito la faccenda tirandogli dietro un mezzo marinaio e questo non ha migliorato i rapporti.
Oggi Fraccanzani è veramente in forma, ha fatto undici delle dodici boe con una classe da campione, il babbo ha fumato una stecca di MS e ha stritolato tra le mani l’accendino.
La dodicesima boa prima dell’uscita la prende con un po’ di ritardo, prova a rimediare ma si schianta di faccia contro il galleggiante.
Non faccio in tempo a trasalire che sento il rumore del gommone che si allontana a balla, il babbo e Marko tirano su il Fraccanzani che sanguina copiosamente dal naso e che sembra sputare denti come noccioli di pesca.
Lo portano in albergo dove viene soccorso ed il babbo rientra un po’ triste.
“ Bà, ma in’t stev sui cojon?”
“ I’m à levat la suddisfazion d’ rumpiri il nas”
Secondo me fa così ma gli dispiace.
giovedì 19 febbraio 2009
Meta
Abbiamo passato le Bocche di Bonifacio senza che succedessero disastri, mi aspettavo un Maelstrom, una buriana, un evento mirabile da affrontare con “il coraggio di un Caboto tra le schiume” come dice Guccini, invece niente, solo la bellezza devastante della Corsica e l’immagine di Budelli e Santa Teresa che si avvicinano.
Ho provato a dirlo al Babbo, mi ha guardato senza sorridere questa volta.
“ Non dire mostruosità, quando andremo ai Lavezzi ti faccio vedere il cimitero degli inglesi”
Mi ha un po’ ammosciato e mi nascondo di prua sulla tormentina.
Doppiamo Santa Teresa e guardo stupefatto il colore dell’acqua dell’arcipelago. Alla nostra sinistra sfilano Budelli, Santa Maria, la Maddalena, Spargi, Caprera e una marea di scogli che sembrano emergere dal nulla per farsi colonizzare da gabbiani e ‘anatron, è una bellezza a cui non sono abituato, si vede il fondo a profondità impossibile e quando ci avviciniamo alla costa il verde l’azzurro il bianco ed il rosa mi lasciano senza fiato.
E’ il paradiso e io ci sto entrando a otto nodi di velocità.
Si sente un profumo incredibile di macchia mediterranea, mi soffio il naso con le mani per sentirlo fino in fondo, sento in bocca il dolce e l’amaro della liquirizia.
Sulla costa Palau, Capo D’orso e cazzo quello lì è proprio un orso nel granito, Liscia di Vacca, Porto Cervo, finalmente il promontorio del Pevero, tappezzato sulla testa dal verde del campo da golf come un improbabile parrucchino e poi casa nostra, quella che diventerà la nostra base per tutta l’estate.
Cala di Volpe.
Facciamo di nuovo il numero dell’ancoraggio, al grido del comandante una vegliarda francese su una barca a vela auto costruita perde il reggipetto a mare.
Mi sembra che il Babbo ci abbia pigiato più del solito con la voce, forse sta marcando il territorio.
Siamo la barca più grossa in rada, tutti gli altri yacht sono bellamente ormeggiati a Porto Rotondo o Porto Cervo, noi no.
Magari domani chiedo anche il perché.
Controlliamo come si piazza la barca per evitare di demolire la moltitudine di barchette a vela che ci circondano, isso a prua il pallone di non governo, mettiamo fuori la scaletta con due parabordi ai lati e mettiamo in mare lo Zodiac usando il tangone a mò di bigo.
“ Và a piar un po’ ‘d pan dalla baffona” dice il babbo mentre mi fa scendere nel gommone.
Ora io con il gommone sono già stato sverginato due giorni fa prima della partenza, mi hanno fatto vedere come si mette in moto, come si guida, come entra in planata e le cose da evitare assolutamente.
Io scalpito come un puledro e già penso che riuscirò perlomeno a trasgredire tutte le regole relative alla prudenza.
Sono veramente un cretino e me ne accorgo immediatamente quando chiudo troppo una virata a piena velocità e vengo quasi sbalzato fuori, con le pulsazioni a mille levo il gas di botta il gommone scende dalla planata e vengo sbalzato verso prua.
Decido per un approccio più morbido e con il motore al minimo mi dirigo verso il moletto di fronte all’alimentari.
Mi sbuccio un ginocchio in maniera selvaggia cercando di scendere a terra e quando le arrivo davanti con mille lire in mano implorando un po’ di pane mi sembra bella anche la baffona.
Ho provato a dirlo al Babbo, mi ha guardato senza sorridere questa volta.
“ Non dire mostruosità, quando andremo ai Lavezzi ti faccio vedere il cimitero degli inglesi”
Mi ha un po’ ammosciato e mi nascondo di prua sulla tormentina.
Doppiamo Santa Teresa e guardo stupefatto il colore dell’acqua dell’arcipelago. Alla nostra sinistra sfilano Budelli, Santa Maria, la Maddalena, Spargi, Caprera e una marea di scogli che sembrano emergere dal nulla per farsi colonizzare da gabbiani e ‘anatron, è una bellezza a cui non sono abituato, si vede il fondo a profondità impossibile e quando ci avviciniamo alla costa il verde l’azzurro il bianco ed il rosa mi lasciano senza fiato.
E’ il paradiso e io ci sto entrando a otto nodi di velocità.
Si sente un profumo incredibile di macchia mediterranea, mi soffio il naso con le mani per sentirlo fino in fondo, sento in bocca il dolce e l’amaro della liquirizia.
Sulla costa Palau, Capo D’orso e cazzo quello lì è proprio un orso nel granito, Liscia di Vacca, Porto Cervo, finalmente il promontorio del Pevero, tappezzato sulla testa dal verde del campo da golf come un improbabile parrucchino e poi casa nostra, quella che diventerà la nostra base per tutta l’estate.
Cala di Volpe.
Facciamo di nuovo il numero dell’ancoraggio, al grido del comandante una vegliarda francese su una barca a vela auto costruita perde il reggipetto a mare.
Mi sembra che il Babbo ci abbia pigiato più del solito con la voce, forse sta marcando il territorio.
Siamo la barca più grossa in rada, tutti gli altri yacht sono bellamente ormeggiati a Porto Rotondo o Porto Cervo, noi no.
Magari domani chiedo anche il perché.
Controlliamo come si piazza la barca per evitare di demolire la moltitudine di barchette a vela che ci circondano, isso a prua il pallone di non governo, mettiamo fuori la scaletta con due parabordi ai lati e mettiamo in mare lo Zodiac usando il tangone a mò di bigo.
“ Và a piar un po’ ‘d pan dalla baffona” dice il babbo mentre mi fa scendere nel gommone.
Ora io con il gommone sono già stato sverginato due giorni fa prima della partenza, mi hanno fatto vedere come si mette in moto, come si guida, come entra in planata e le cose da evitare assolutamente.
Io scalpito come un puledro e già penso che riuscirò perlomeno a trasgredire tutte le regole relative alla prudenza.
Sono veramente un cretino e me ne accorgo immediatamente quando chiudo troppo una virata a piena velocità e vengo quasi sbalzato fuori, con le pulsazioni a mille levo il gas di botta il gommone scende dalla planata e vengo sbalzato verso prua.
Decido per un approccio più morbido e con il motore al minimo mi dirigo verso il moletto di fronte all’alimentari.
Mi sbuccio un ginocchio in maniera selvaggia cercando di scendere a terra e quando le arrivo davanti con mille lire in mano implorando un po’ di pane mi sembra bella anche la baffona.
giovedì 12 febbraio 2009
Bue
“Murummui murummui
Chinate la testa che passa il rataplan
Murummui murummui grattate la testa
Che le cuorna non te stan.
Murummuiiiiiiiiiiii”
Io e il cuoco cantiamo a squarciagola seduti sul carabottino che porta dalla coperta alla zona equipaggio.
E’ una canzone in finto sardo bergiolese , dialetto che si è inventato lui e che stiamo perfezionando.
Abbiamo deciso che murummui è il bue, rataplan l’aeroplano, a tutto il resto ci stiamo lavorando.
“ chiuricchiu’ adde viste cume saltinu i drafine?”
“ Che cazzo c’entra col bue?”
“No, no dicevo davvero ci sono i delfini che saltano, sono dei Calderoni”
“ Minchia che grossi, sono tutti neri e hanno la testa enorme”
“La sai la storia del Dubat e del drafino pezzato?”
“ ….”
“’L Dubat ier ‘mbracat su una piccola nave mercantile e come tanti a quei tempi cacciava il delfino quando si presentava sottobordo”
“ Cazzo, il delfino? ma sono delle creature meravigliose intelligenti morbide lisce giocherellone inoffensive gentili utili……”
“ Guarda che l’hai mangiato anche te il delfino, cosa pensavi che fosse il musciam che ti hanno fatto mangiare da piccolo?”
“ ho mangiato un delfino?”
“Non intero, un pezzo”
“non me lo ricordo”
“ Vabbè, era tradizione, i marinai lo facevano per fame e Custeau non aveva ancora divulgato niente, pensavamo fosse come un pesce e non si buttava via niente”
“Mio Dio”
“ La vuoi sentire la storia?”
“Si”
“ Navigavano lungo le coste del Cile e lui si era costruito una specie di cannone ad aria compressa usando un compressore e un’estintore, la nave era troppo alta di bordo e, usando il Folgore, l’arpione, non riusciva a catturare niente. Un giorno ha avvistato una bestia enorme, un drafin enorme, pezzato come una vacca e gli ha tirato. Era ovviamente un’orca che ha esaurito tutta la sagola che era troppo corta, ha strappato l’estintore dal bordo dove era fissato e si è trascinata il Dubat in acqua.”
“ Cazzo”
“ Un’altra orca si è avvicinata mentre l’equipaggio cercava di ripescarlo. Vanno sempre in coppia e si scelgono per la vita. E’ arrivata veloce e si è fermata vicino a lui , erano tutti terrorizzati, l’orca lo ha guardato negli occhi e poi se né andata.”
“Lo hanno ripescato fradicio, congelato e pieno di merda, piangeva e chiedeva perdono. Ha cominciato a raccontare la sua storia in tutti i bar e su tutte le navi che navigava, non abbiamo mai più ammazzato delfini”
“……”
“ Belli i Calderoni”
“ Belli, ora ci seguiranno per un po’”
Ho mangiato un delfino, Dio mi punirà per questo.
Murumuiiiiiiiiiiiiiiiiiiiii
Chinate la testa che passa il rataplan
Murummui murummui grattate la testa
Che le cuorna non te stan.
Murummuiiiiiiiiiiii”
Io e il cuoco cantiamo a squarciagola seduti sul carabottino che porta dalla coperta alla zona equipaggio.
E’ una canzone in finto sardo bergiolese , dialetto che si è inventato lui e che stiamo perfezionando.
Abbiamo deciso che murummui è il bue, rataplan l’aeroplano, a tutto il resto ci stiamo lavorando.
“ chiuricchiu’ adde viste cume saltinu i drafine?”
“ Che cazzo c’entra col bue?”
“No, no dicevo davvero ci sono i delfini che saltano, sono dei Calderoni”
“ Minchia che grossi, sono tutti neri e hanno la testa enorme”
“La sai la storia del Dubat e del drafino pezzato?”
“ ….”
“’L Dubat ier ‘mbracat su una piccola nave mercantile e come tanti a quei tempi cacciava il delfino quando si presentava sottobordo”
“ Cazzo, il delfino? ma sono delle creature meravigliose intelligenti morbide lisce giocherellone inoffensive gentili utili……”
“ Guarda che l’hai mangiato anche te il delfino, cosa pensavi che fosse il musciam che ti hanno fatto mangiare da piccolo?”
“ ho mangiato un delfino?”
“Non intero, un pezzo”
“non me lo ricordo”
“ Vabbè, era tradizione, i marinai lo facevano per fame e Custeau non aveva ancora divulgato niente, pensavamo fosse come un pesce e non si buttava via niente”
“Mio Dio”
“ La vuoi sentire la storia?”
“Si”
“ Navigavano lungo le coste del Cile e lui si era costruito una specie di cannone ad aria compressa usando un compressore e un’estintore, la nave era troppo alta di bordo e, usando il Folgore, l’arpione, non riusciva a catturare niente. Un giorno ha avvistato una bestia enorme, un drafin enorme, pezzato come una vacca e gli ha tirato. Era ovviamente un’orca che ha esaurito tutta la sagola che era troppo corta, ha strappato l’estintore dal bordo dove era fissato e si è trascinata il Dubat in acqua.”
“ Cazzo”
“ Un’altra orca si è avvicinata mentre l’equipaggio cercava di ripescarlo. Vanno sempre in coppia e si scelgono per la vita. E’ arrivata veloce e si è fermata vicino a lui , erano tutti terrorizzati, l’orca lo ha guardato negli occhi e poi se né andata.”
“Lo hanno ripescato fradicio, congelato e pieno di merda, piangeva e chiedeva perdono. Ha cominciato a raccontare la sua storia in tutti i bar e su tutte le navi che navigava, non abbiamo mai più ammazzato delfini”
“……”
“ Belli i Calderoni”
“ Belli, ora ci seguiranno per un po’”
Ho mangiato un delfino, Dio mi punirà per questo.
Murumuiiiiiiiiiiiiiiiiiiiii
giovedì 5 febbraio 2009
Faro
Il sole è tramontato da un po’ e si sta facendo buio, fra un paio d’ore dovremmo arrivare a Porto Vecchio dove passeremo la notte.
Il comandante ha acceso le luci di via e di coronamento, mi sta facendo vedere sulla carta dove siamo diretti.
Indica con il dito una cosa con il suo indice grosso e adunco dall’unghia spaccata, frutto di una disavventura poco piacevole.
Stava riparando un riduttore su una barca in secca e aveva le mani negli ingranaggi, qualche scienziato all’esterno ha visto bene di girare l’elica e lui è rimasto due ore con il dito massacrato intrappolato fra i denti, urlava ma non lo sentiva nessuno, lo aveva trovato la Ghifa mentre bestemmiava in un cumulo di grasso sangue e mozziconi di sigaretta che riusciva comunque ad accendersi con la mano sinistra.
Il dito non è mai tornato normale ma lui dice che così gli serve per i lavori difficili, la falange a gancio arriva dove le altre non possono, ha perso un dito e trovato un attrezzo, il massimo.
Mi indica un faro e mi spiega cos’è la caratteristica che rende un faro distinguibile da tutti gli altri.
Individuata qual è la nostra mira riesco a distinguerla sulla costa mentre il babbo brontola contro la mania di illuminare le coste in modo eccessivo che rende la navigazione costiera piu’ faticosa.
Provo a dirgli che tenere i terrazani al buio non mi pare una grande idea anche se va a favore dei marinai e lui mi dà uno scappellotto.
Le eliche stanno frullando il plancton e ci lasciamo dietro una lunga scia fosforescente come una cometa obesa.
“Và ‘a piar i panin chi ien pronti”
“Subt”
Porto Vecchio, notte.
“ Va ‘d prua, pi’ la mazzetta e quand a dig FOND dà fond.”
“Eh?”
“ Portati a prua nelle immediate vicinanze del verricello, prendi la mazzetta di legno che è al’uopo posizionata nell’apposito supporto e appena io grido FONDO, percuoti con la suddetta mazzetta la parte piu’ esterna del barbottin in maniera da liberare la catena ed effettuare così l’indispensabile ancoraggio”
Quando mi vuol prendere per il culo parla forbito.
Faccio come mi ha detto mentre ci posizioniamo nel punto giusto della rada.
Pazzesco, è come entrare in una laguna, boette luminose segnalano la canaletta di navigazione, i Francesi ci sanno fare , i grilli fanno un gran casino e non spira un alito di vento.
Le luci si riflettono in acqua e tornano all’occhio ammorbidite da un tono verdastro.
Esce dalla timoneria e tuona “FOND” , penso lo abbiano sentito anche ad Ajaccio, mette i motori a marcia indietro e filo due lunghezze di catena.
“FERM”
Fermo il verricello con la mazzetta ed inserisco la castagna nella catena per bloccarla.
Controlliamo che la barca si posizioni correttamente e che l’ancora tenga, ci sono altre imbarcazioni ferme per la notte ed è meglio verificare come girano prima di andare a dormire.
Sono bollito , mi arrampico in cuccetta con le ultime forze mentre il babbo ed il cuoco fumano in coperta bisbigliando piano.
L’ultimo pensiero prima di crollare và aimè alle tette della bionda.
Il comandante ha acceso le luci di via e di coronamento, mi sta facendo vedere sulla carta dove siamo diretti.
Indica con il dito una cosa con il suo indice grosso e adunco dall’unghia spaccata, frutto di una disavventura poco piacevole.
Stava riparando un riduttore su una barca in secca e aveva le mani negli ingranaggi, qualche scienziato all’esterno ha visto bene di girare l’elica e lui è rimasto due ore con il dito massacrato intrappolato fra i denti, urlava ma non lo sentiva nessuno, lo aveva trovato la Ghifa mentre bestemmiava in un cumulo di grasso sangue e mozziconi di sigaretta che riusciva comunque ad accendersi con la mano sinistra.
Il dito non è mai tornato normale ma lui dice che così gli serve per i lavori difficili, la falange a gancio arriva dove le altre non possono, ha perso un dito e trovato un attrezzo, il massimo.
Mi indica un faro e mi spiega cos’è la caratteristica che rende un faro distinguibile da tutti gli altri.
Individuata qual è la nostra mira riesco a distinguerla sulla costa mentre il babbo brontola contro la mania di illuminare le coste in modo eccessivo che rende la navigazione costiera piu’ faticosa.
Provo a dirgli che tenere i terrazani al buio non mi pare una grande idea anche se va a favore dei marinai e lui mi dà uno scappellotto.
Le eliche stanno frullando il plancton e ci lasciamo dietro una lunga scia fosforescente come una cometa obesa.
“Và ‘a piar i panin chi ien pronti”
“Subt”
Porto Vecchio, notte.
“ Va ‘d prua, pi’ la mazzetta e quand a dig FOND dà fond.”
“Eh?”
“ Portati a prua nelle immediate vicinanze del verricello, prendi la mazzetta di legno che è al’uopo posizionata nell’apposito supporto e appena io grido FONDO, percuoti con la suddetta mazzetta la parte piu’ esterna del barbottin in maniera da liberare la catena ed effettuare così l’indispensabile ancoraggio”
Quando mi vuol prendere per il culo parla forbito.
Faccio come mi ha detto mentre ci posizioniamo nel punto giusto della rada.
Pazzesco, è come entrare in una laguna, boette luminose segnalano la canaletta di navigazione, i Francesi ci sanno fare , i grilli fanno un gran casino e non spira un alito di vento.
Le luci si riflettono in acqua e tornano all’occhio ammorbidite da un tono verdastro.
Esce dalla timoneria e tuona “FOND” , penso lo abbiano sentito anche ad Ajaccio, mette i motori a marcia indietro e filo due lunghezze di catena.
“FERM”
Fermo il verricello con la mazzetta ed inserisco la castagna nella catena per bloccarla.
Controlliamo che la barca si posizioni correttamente e che l’ancora tenga, ci sono altre imbarcazioni ferme per la notte ed è meglio verificare come girano prima di andare a dormire.
Sono bollito , mi arrampico in cuccetta con le ultime forze mentre il babbo ed il cuoco fumano in coperta bisbigliando piano.
L’ultimo pensiero prima di crollare và aimè alle tette della bionda.
mercoledì 4 febbraio 2009
Dieta
Rientro nella tuga togliendomi le cispie dagli occhi, mi è entrato un po’ di freddo nelle ossa, vado a prendermi una maglia di lana e mi siedo sopra il bancone che sorregge la radio.
“ Ba’ ma com is ciamav quel d’la dieta?”
“Macrobioti”
Ora c’è da capire che per qualche motivo strano il babbo non chiama quasi mai le persone per nome ma accosta a chiunque un nome indiano, non un soprannome ma un vero nome che condensi in se l’essenza del soggetto.
L’infanzia passata a guardare i film di Tom Mik ha fatto il resto.
Così i suoi amici si chiamano Piccola scure, Nuvola rossa, La Ghifa, ‘L Gatt Ross, Bocca Senzossi, Gambe N’corp, Spaccafurminanti, ‘L Sergente York e cazzo vi giuro che li riconoscereste tutti al primo sguardo.
Il Macrobioti in questione è il pazzo che ha inventato la dieta macrobiotica, affamando milioni di persone è diventato miliardario.
Per chi in tempo di guerra ha patito la fame costui è un essere indegno di stare sul pianeta e il babbo ed il cuoco lo sospettavano di essere pure pederasta.
“ E cos ia fat?”
“ ‘St mrdon i’ avev vinti fanti giovani nella so casa in Sardegna, gli imponeva la sua dieta a base di lenticchie e fave secche e li condizionava mentalmente”
“E poi?”
“ Un giorno di maestrale quattro scheletri diciottenni hanno provato a prendere il gommone per andare fino a Porto Cervo, appena sono usciti dal Pevero si sono messi il gommone per cappello e sono finiti in acqua”
“ E ti ‘a tirati su?”
“ Me e Giulio, erano fradici e leggeri e dopo due minuti in acqua erano tutti bianchi e blu, povri fanti”
“ e tu gli hai dato da mangiare immagino”
“ ‘T dev veder, I’ an votat la cambusa
“e….”
“ E poi è venuto Macrobioti in persona a riprenderli, li accarezzava sulla testa e piangeva, diceva che non li avrebbe più costretti a fare qualcosa che loro non desideravano e se li mangiava con gli occhi”
…..
“ Il ‘an butat ‘n mar , che suddisfazion”
Secondo me questa storia è una balla ma gli voglio bene lo stesso.
“ Ba’ ma com is ciamav quel d’la dieta?”
“Macrobioti”
Ora c’è da capire che per qualche motivo strano il babbo non chiama quasi mai le persone per nome ma accosta a chiunque un nome indiano, non un soprannome ma un vero nome che condensi in se l’essenza del soggetto.
L’infanzia passata a guardare i film di Tom Mik ha fatto il resto.
Così i suoi amici si chiamano Piccola scure, Nuvola rossa, La Ghifa, ‘L Gatt Ross, Bocca Senzossi, Gambe N’corp, Spaccafurminanti, ‘L Sergente York e cazzo vi giuro che li riconoscereste tutti al primo sguardo.
Il Macrobioti in questione è il pazzo che ha inventato la dieta macrobiotica, affamando milioni di persone è diventato miliardario.
Per chi in tempo di guerra ha patito la fame costui è un essere indegno di stare sul pianeta e il babbo ed il cuoco lo sospettavano di essere pure pederasta.
“ E cos ia fat?”
“ ‘St mrdon i’ avev vinti fanti giovani nella so casa in Sardegna, gli imponeva la sua dieta a base di lenticchie e fave secche e li condizionava mentalmente”
“E poi?”
“ Un giorno di maestrale quattro scheletri diciottenni hanno provato a prendere il gommone per andare fino a Porto Cervo, appena sono usciti dal Pevero si sono messi il gommone per cappello e sono finiti in acqua”
“ E ti ‘a tirati su?”
“ Me e Giulio, erano fradici e leggeri e dopo due minuti in acqua erano tutti bianchi e blu, povri fanti”
“ e tu gli hai dato da mangiare immagino”
“ ‘T dev veder, I’ an votat la cambusa
“e….”
“ E poi è venuto Macrobioti in persona a riprenderli, li accarezzava sulla testa e piangeva, diceva che non li avrebbe più costretti a fare qualcosa che loro non desideravano e se li mangiava con gli occhi”
…..
“ Il ‘an butat ‘n mar , che suddisfazion”
Secondo me questa storia è una balla ma gli voglio bene lo stesso.
lunedì 2 febbraio 2009
Bolla
A mezzogiorno e mezzo non si vede ancora una minchia, c’è mare dappertutto, il babbo ha ripreso i comandi ed io mi sono sdraiato sul divanetto di fianco al tavolo da carteggio.
Chiudo gli occhi e con la punta delle dita accarezzo il velluto blu con le ancore in rilievo del cuscino.
Il cuoco è in cucina da una mezz’ora, la radio gracchia qualche notizia sulla pesca di paranza ed il babbo bestemmia sordo contro gli stronzi che usano il canale di emergenza per raccontarsi i cazzi loro.
Mi alzo, guardo la posizione e la rotta sul Loran per dargli un po’ di soddisfazione visto che il comandante non lo caga mai, prendo il binocolo Zeiss e controllo se c’è qualcosa in vista, poso il binocolo, accendo il tergicristallo rotante che è una vera figata e spara le gocce d’acqua centrifugata ad una distanza incredibile.
Struscio i piedi nudi sulla coperta sentendo il liscio del teak e la resistenza morbida della gomma fra un listello e l’altro, mi tolgo una caccola vetrosa dalla narice sinistra la sparo con l’indice tra i flutti.
Empasse totale, non è sgradevole, anzi, è come essere in una bolla e non hai la chiara percezione del tempo.
Sbuca il cuoco con un vassoio imbarazzante di penne all’arrabbiata, il fabbisogno di cibo dell’equipaggio è mostruoso, apparecchio il tavolo togliendo velocemente le carte e gli strumenti e vado a prendere un fiasco di rosso in cucina.
Il babbo inserisce il pilota automatico, che ha l’autostima piu’ bassa del Loran tanto poco è utilizzato, e ci scufunniamo tutto prendendo le penne tra forchetta e pane casomai i carboidrati non fossero abbastanza, facciamo festa al fiasco e parliamo solamente ‘n dialett .
Aiuto il cuoco a sparecchiare, portiamo tutto in cucina e laviamo i piatti, mentre prende il caffè dallo scaffale alto lo colpisco alle costole con un gancio sinistro tanto per fargli il solletico, lui grugnisce e sbuffa aria dal naso mi prende la testa nell’incavo del gomito e mi fa una zuppetta affettuosa in testa, ha due braccia come prosciutti e mentre torniamo ridendo di sopra le orecchie mi scottano come polpette.
Esco dalla timoneria e vado a prua, sul carabottino c’è il sacco della tormentina il fiocco più piccolo, mi ci sdraio sopra e svengo.
Mi svegliano le grida dei gabbiani, siamo sottocosta ma la costa è a dritta non a sinistra come mi sarei aspettato, ho dormito 5 ore e cazzo mi sono perso la Capraia.
Chiudo gli occhi e con la punta delle dita accarezzo il velluto blu con le ancore in rilievo del cuscino.
Il cuoco è in cucina da una mezz’ora, la radio gracchia qualche notizia sulla pesca di paranza ed il babbo bestemmia sordo contro gli stronzi che usano il canale di emergenza per raccontarsi i cazzi loro.
Mi alzo, guardo la posizione e la rotta sul Loran per dargli un po’ di soddisfazione visto che il comandante non lo caga mai, prendo il binocolo Zeiss e controllo se c’è qualcosa in vista, poso il binocolo, accendo il tergicristallo rotante che è una vera figata e spara le gocce d’acqua centrifugata ad una distanza incredibile.
Struscio i piedi nudi sulla coperta sentendo il liscio del teak e la resistenza morbida della gomma fra un listello e l’altro, mi tolgo una caccola vetrosa dalla narice sinistra la sparo con l’indice tra i flutti.
Empasse totale, non è sgradevole, anzi, è come essere in una bolla e non hai la chiara percezione del tempo.
Sbuca il cuoco con un vassoio imbarazzante di penne all’arrabbiata, il fabbisogno di cibo dell’equipaggio è mostruoso, apparecchio il tavolo togliendo velocemente le carte e gli strumenti e vado a prendere un fiasco di rosso in cucina.
Il babbo inserisce il pilota automatico, che ha l’autostima piu’ bassa del Loran tanto poco è utilizzato, e ci scufunniamo tutto prendendo le penne tra forchetta e pane casomai i carboidrati non fossero abbastanza, facciamo festa al fiasco e parliamo solamente ‘n dialett .
Aiuto il cuoco a sparecchiare, portiamo tutto in cucina e laviamo i piatti, mentre prende il caffè dallo scaffale alto lo colpisco alle costole con un gancio sinistro tanto per fargli il solletico, lui grugnisce e sbuffa aria dal naso mi prende la testa nell’incavo del gomito e mi fa una zuppetta affettuosa in testa, ha due braccia come prosciutti e mentre torniamo ridendo di sopra le orecchie mi scottano come polpette.
Esco dalla timoneria e vado a prua, sul carabottino c’è il sacco della tormentina il fiocco più piccolo, mi ci sdraio sopra e svengo.
Mi svegliano le grida dei gabbiani, siamo sottocosta ma la costa è a dritta non a sinistra come mi sarei aspettato, ho dormito 5 ore e cazzo mi sono perso la Capraia.
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