giovedì 25 giugno 2009

Lopon

“Bà, ma com'è che ‘L Lopon non aveva vinto la gara di nuoto con il costume di lana?”
“Prori cuscì”
Il Lopone è il cugino del comandante ed è la sua fotocopia ingrandita.
Il babbo viaggia abbondantemente oltre i cento chili ma non è un gigante, il Lopone si.
Ora che ha più di settant’anni sfora il metro e novanta, per cui ai tempi della gara di nuoto doveva essere vicino ai due metri.
Era l’allievo prediletto di mio nonno, ‘L Nostrom, quando le barche erano solo a vela ed un fisico del genere doveva essere incredibile visto a quaranta metri d’altezza a dare una mano di terzaroli.
Fatto sta che adesso che è in pensione il Lopone è il guru della scuola di vela ed ha allevato qualche generazione di disgraziati ed un paio di campioni del mondo.
Ha un approccio un po’ burbero ma è buonissimo, è un’istituzione ma sono epiche le sue incazzature a scopo didattico.
La prima volta che l’ho visto era intento a tirare dei tacchi di legno di peso stimato sui due chili a dei neofiti che non si decidevano a staccarsi da riva con i loro Optimist.
Al debutto in barca a vela avevo la barra del timone che mi tremava tra le mani, lui era appollaiato dietro di me e mi guardava senza dire niente, poi :
“Pugg”
io non sapevo cosa fare,
“Pugg”
titubante comincio a stringere il vento,
“A tò dit ‘d Puggiar” seguito da un calcio violento alla barra nella direzione giusta.
Diciamo che non ho più avuto dubbi su poggiare e orzare.
“Angelo, non ci vedo, c’è quel ragazzo lì davanti”
“Sputi”
“Come?”
“Sputi, cuscì I impar a non metrs ‘n mez”
Sputo e centro il ragazzo dietro la nuca, quando sono al timone comando io.
Mi ha insegnato la pazienza, la pesca a traina, la bellezza del silenzio, la lettura dei libri di avventura e quanto è importante avere opinioni proprie.
“ I er ‘l pù brav a notar, ma ai tempi del ventennio gli atleti dovevano essere per forza iscritti alla gioventù fascista. Avevano organizzato il campionato italiano a Marina e tracciato il campo gara tirando delle corsie di boette tra un pontile e l’altro. Si presentano gli atleti provenienti da tutt’Italia, tutti tirati e con il costume aderente a mezza vita, la mascella in fuori ed i capelli pettinati con la riga da una parte.
La gara erano i quattrocento metri stile libero, in fondo al pontile di partenza, al di fuori delle corsie, apparve un orso biondo con un costume intero di lana pesante, come quello dei lottatori di lotta libera.
L’ Lopon.
Si tuffò insieme agli altri e dopo centro metri era ultimo, poi mise in azione le pagaie e le pinne che aveva per mani e piedi ed arrivò davanti a tutti tra gli applausi della gente e le grida di rabbia dei Gerarchi.
Poi scappò a nuoto.
Ecco come ha fatto a non vincere i campionati italiani nuotando con un costume di lana”
Ti voglio bene Angelo.

mercoledì 17 giugno 2009

Mototopa

“Aimilluni auimilluni”
“Rottadiddda rattaplann”
“Muguluni muguluni”
“Settadridda failatran”
Sta andando così da un paio d’ore, Giulio canta a squarciagola una cosa incomprensibile ed io gli vado dietro, sembriamo pazzi.
Stiamo fratazzando la coperta, uno usa lo struscino e l’altro con la cannella lo innaffia d’acqua, ci diamo il cambio e quello al fratazzo, oltre a faticare come una bestia, viene sistematicamente spruzzato.
Il maestrale è durato una settimana ed ha portato via con sé la banda.
Sono rimasti solo il signor B. e la signora S., il commiato è stato particolare.
Francè il vecchio mi ha detto “BBravo GGuaglione” e mi ha mollato una mancia imbarazzante, ho chiesto al babbo cosa fare e lui mi ha detto di tenerli, me li ero meritati.
Il Pirla mi ha salutato mentre stavo pescando le boghe con la pasta al formaggio, ha insistito per stringermi la mano, gli ho lasciato volentieri sulla pelle una grossa quantità di pasta e merda di boga.
La Rapa ha sorriso per la prima volta da quando è arrivata a bordo ed ha aperto un borsellino di pelle rossa con la chiusura in ottone, ho intascato con un inchino.
La nana ha preso la chitarrina e non mi ha degnato di uno sguardo, sta crescendo bene, diventerà una di quelle potte a sonagli con il taglio orizzontale.
Con Francè il giovane uno sguardo ed un abbraccio forte, mi è dispiaciuto perderlo e non lo invidio, è inserito in una famiglia che non merita.
“’T ved quela lì? Al è una ‘d cl’e magrone cal godn un much”
E’ la frase preferita di un amico di Giulio e lui la tira fuori quando c’è una bella donna magra e attraente che ispira una non meglio specificata attività sessuale dalla quale sembra poter ricavare piacere nonché appagamento.
Effettivamente la francesina che sta passando sotto di noi, a bordo di un minuscolo gommone che ronza come una zanzara, fa girare più di una testa.
“Mattaddulli”
“Cantaran”
Riprendiamo il lavoro ed il cuoco mi illustra una sua teoria sulla valutazione delle tette piuttosto interessante.
La prova gommone.
Sostiene che se, con mare appena increspato e velocità superiore ai venti nodi, la tetta sbatacchia prima sulla pancia e poi sulla faccia, trattasi di tetta trascurabile, qualsiasi siano le sue dimensioni.
Se nelle medesime condizioni la tetta si muove poco in alto ed in basso ma tende, per la pressione dell’aria, ad allargarsi verso l’esterno, trattasi di tetta sincera e frequentabile.
Se poi resta immobile, non ha alcun movimento di sbudinamento e regge anche il mare formato è la tetta da sogno.
Interessante.
La sera quando conto per l’ennesima volta le mance e faccio i conti a quanto mi manca per l’acquisto dell’ agognata moto Aprilia ETX 125, mi immagino come sarebbe bello sentire in staccata una tetta di tipo tre che mi si schiaccia sulla schiena.

martedì 16 giugno 2009

Per piccina che tu sia

“Tirt su, ‘ndian”
Il babbo mi ha appoggiato la mano callosa sul petto e mi ha scosso gentilmente, ero sprofondato in un sogno a base di compiacenti odalische dalle sembianze familiari e mi sveglio di soprassalto in preda al testosterone.
Cerco di ricompormi mentre il babbo si gira e lascia dietro di se una scia di caffè e fumo.
Il cuoco si è già alzato e mi sembra sia notte fonda, sento le sartie sbattere forte sugli alberi e i gabbiani gridano isterici.
In cucina l’orologio di acciaio mi informa che sono le tre e un quarto, la barca si muove e comincia a sbandierare sull’ancora, spostata da un vento che fischia rabbioso le prime raffiche.
Seguo in sala macchine il comandante che avvia i motori, il verde martellato della vernice brilla sotto la luce a basso voltaggio, risaliamo veloci le scalette che ci portano in coperta .
Si mette ai comandi, io mi fiondo di sotto e recupero un maglione ed un’incerata, passo dal portello e apro il pozzo delle catene, Giulio è lì vicino, colpisce la castagna con la mazza di legno ed iniziamo a salpare l’ancora.
Da quello che sono riuscito a vedere non butta tanto bene, dalle raffiche di prima siamo passati ad un muggito sordo , mi arrivano sulla schiena schizzi di acqua salata, è tutto nero intorno.
Appena l’ancora risuona nel suo alloggio fisso i fermi del portello e in qualche modo raggiungo la timoneria.
“Mò i ariv”
A dir la verità pensavo fosse già arrivato e non capisco dove stiamo andando, ci siamo lasciati dietro i Lavezzi ma non riesco a vedere il faro di Santa Teresa.
A metà tragitto il mare comincia a montare davvero e si sentono dabbasso i primi lamenti, qualcuno è caduto dalla cuccetta.
Gli ospiti arrivano trafelati e non riescono a stare in piedi un po’ per il sonno e molto per il rollio, il babbo li prega di stare seduti in salone e di non muoversi.
Il Signor B. sale per ultimo e guarda il comandante, abbassa il mento e annuisce, il babbo lo fissa dritto per qualche secondo e fa segno di sì con la testa.
Riusciamo ad arrivare dietro Capo Ferro dopo qualche ora di patimento, surfando con il mare in poppa i prodromi di quella che sembra essere una maestralata con i fiocchi.
La quiete parziale di Cala di Volpe mi sembra un sogno rispetto a quello che abbiamo intuito prima.
Non l’abbiamo visto ma il mostro era lì in agguato, per questa volta siamo stati più svelti noi, l’odore del suo alito sa di sale e fulmini, mi resterà in testa.
Di sotto è un discreto disastro e non credo che la moquette tornerà come prima, il problema è che non troviamo la Rapa.
La trova Francè nella doccia della cabina armatoriale, discretamente ricoperta di merda, sbava un po’ ma sembra stare abbastanza bene.
“A Casa”
“Si, siamo a casa”
“A CASA”
Forse intendeva un’altra cosa.

sabato 13 giugno 2009

God save the Queen

Oggi devo fare il bravo marinaretto.
Vestito di tutto punto, piedi nudi, calzoncini blu corti, maglietta bianca, capello scarruffato, prendo la banda e la porto al mare.
Ovviamente tutti scelgono una meta diversa , il Signor B. e la Signora S. piccola spiaggetta isolata dalla quale con ruggiti e soffiate stile gatto il Signor B. scaccerà eventuali intrusi, previsto rientro alle 18.
Il pirla ed i figli visita al faro e al cimitero, scarpinata e periplo dello scoglio, previsto rientro alle 1845.
Francè il vecchio prima spiaggia con percentuale alta di francesi in topless e tedesche con il baffo di fuori, rientro non previsto.
La Rapa resta a bordo, trasla da una sedia all’altra e appare nei posti più impensati, non la vedi mai camminare, appare come una madonna e fiuta tabacco in silenzio.
In pratica da quando ho finito il giro mi rimangono due ore libere, per cui mi dirigo verso una baietta che non ho esplorato e mi spoglio.
Sputo nella maschera, la sciacquo una prima volta, mi ingesso i piedi nelle pinne e mi metto i pesi alla cintura , risputo nella maschera e la risciacquo .
Pronto.
Non so se essere triste per l’impossibilità di predare, mi adatto al mio nuovo ruolo di biologo marino e me la godo.
Il posto rispetta le aspettative, meraviglioso, mi preoccupa un po’ il fatto che sul fondo ho trovato un muggine enorme tagliato in due come da un colpo d’accetta, manca la parte della testa.
Improvvisamente sento una sensazione strana partire dal culo, mi risale lungo la spina dorsale e mi si drizzano la peluria sul collo e tutti i capelli.
Mi giro verso destra con la visuale limitata dalla maschera nera e un bolide di grosse dimensioni mi sorpassa come un fulmine.
Riemergo con il cuore a duemila e mi guardo frenetico intorno, poi lo vedo, il mio leviatano.
Un cazzo di cormorano che mi guarda perplesso.
Fottiti.
Riprendo il giro e dietro una punta trovo la barca più brutta che abbia mai visto.
Sembra disegnata da un bambino e costruita da un netturbino con problemi mentali.
Batte bandiera inglese e non mi sembra ci sia nessuno a bordo.
E’ ormeggiata con due ancore di prua in barda di gatto e due corpi morti di poppa.
Non è una barca è una casa , e il padrone deve essere quell’inglese nudo che pattuglia il territorio con un surf a vela.
Ha barba e capelli ispidi e bianchi, magrissimo e un’attrezzatura niente male per un vecchio, con le palle enormi e pendule come quelle di un bracco.
Sotto la barca a dritta una pila enorme di ricci di mare aperti, sulla sinistra una quantità di bottiglie di whiskey vuote da far invidia ad una distilleria, arrivano quasi al bordo dell’acqua.
La sua dieta.
Mi insegue sbraitando come un pazzo, io mi immergo e vado sparato verso il gommone.
Salgo, metto in moto e scappo, mentre lui bestemmia in qualche lingua gaelica, mi calo il costume ed elegantemente gli urlo “Puppa”.
Recupero la ciurma e mi dirigo verso il Galateia, togliere Francè dalla spiaggia è stato un dramma.
Il comandandate mi aspetta.
“Tà vist L’Ngles?”
“Si”
“ E cos ‘i tà dit?”
“You are welcome”