giovedì 26 marzo 2009

Acqua ed aria

“Porto Cervo Porto Cervo Radio, qui Galateia”
“Porto Cervo Porto Cervo Radio, qui Galateia”
Merda
“Livorno Radio Livorno Radio, qui Galateia”
“Livorno Radio Livorno Radio, qui Galateia”
Merda
In mare non è mai semplice niente, nemmeno telefonare alla mamma.
“Porto Cervo Porto Cerv….”
“Qui Livorno Radio, avanti Galateia, passo”
“ Buon giorno Livorno Radio, il nostro identificativo internazionale è il JSTG6T vorremmo parlare con il seguente numero telefonico 0585 785473 passo”
“Registrati, previsto collegamento 15 minuti, buona giornata Galateia, chiudo”
Minchia come mi sento figo mentre riappendo il microfono in bachelite del VHF.
Guardo perplesso l’apparecchio mastodontico pieno di manopole che pare depositato sul mobile da un ghiacciaio durante il paleolitico.
Marconi li costruiva più piccoli i VHF.
Ritengo di aver tempo per una serie serrata di tuffi da ogni sporgenza della barca prima che Livorno Radio si faccia viva.
Mi spoglio e resto con un improbabile costumino rosso aderente dell’Arena.
A me piacciono i bermuda, ma per tuffarsi non vanno bene, restare nudi come vermi è un attimo.
Inizio con il tuffo di prua dal carabottino, proprio sopra l’ancora sottovento, quella che non è stata calata a mare.
Salgo sulla falchetta , saranno un due metri e mezzo dall’acqua, l’altezza giusta per fare qualsiasi cazzata senza fracassarsi un organo interno.
Opto per un superman carpiato, respiro a fondo e salto.
Tuffarsi è bellissimo, la sensazione di lieve vertigine prima di saltare, il battito che aumenta, il volo in aria e l’acqua che sembra non arrivare mai mentre esegui il movimento.
Poi il fresco dell’acqua, prima sulle mani, poi lungo il corpo, e tu che stai attento, all’ultimo momento dai il colpo di reni e contrai gli addominali per entrare come una spada e non sollevare spruzzi.
L’acqua si chiude sui tuoi piedi tesi e sigilla tutto, che tu abbia fatto bene o male ora sei dentro di lei.
E poi ti lasci andare un po’ verso il fondo, completamente rilassato ti incurvi e seguendo le bolle che ti escono dal naso torni su.
C’è una canzone che dice “ Volevo essere un tuffatore per rinascere ogni volta dall’acqua all’aria”
Ecco, è così, non so spiegarlo meglio.
Mentre torno velocemente alla scaletta appare sul tettuccio della timoneria il comandante, saranno un 5 metri buoni.
Resto veramente sorpreso perché lui il bagno non lo fa mai.
Ha la stessa tenuta tutto l’anno e capisco che è inverno quando sotto i calzoni corti spuntano i calzini di lana.
Il volto, le gambe, le braccia sono cotte dal sole, tutto il resto, compresa la pancia prominente dura come un tamburo e violata da una cicatrice terribile sul fianco destro, sono bianchissimi.
Mi sorride e salta.
Cazzo sapevo che era un maestro da ragazzo ma non l’ho mai visto tuffarsi, le nostre estati non sono mai state trascorse insieme.
E’ un tuffo semplice ma molto bello, come me chiude il movimento molto presto e controlla di essere in verticale , poi entra in acqua con pochi schizzi e sparisce.
Sparisce un po’ troppo, non riaffiora per diversi secondi.
Quando reputo che le MS non dovrebbero concedergli tutta quell’apnea mi immergo e lo vado a prendere spaventatissimo.
Lo trovo subito che annaspa e non capisco cosa sia successo, è in stato confusionale e non sa dov’è la superficie.
Mentre lo trascino a galla mi viene in mente che quest’inverno ha fatto un piccolo intervento al timpano e gli hanno inserito un drenaggio.
Ha preso una fucilata in pieno orecchio interno, ma si riprende velocemente.
Quando arriviamo alla scaletta in qualche modo riesce a risalire e stremati ci sdraiamo sulla coperta calda.
“Galateia Galateia qui Livorno Radio”
Cazzo mamma và tutto bene, và tutto bene.

lunedì 23 marzo 2009

Reti

La barca è sempre addormentata alle prime luci dell’alba, il mare è completamente piatto e non spira un alito di vento, solo lo sciabordio dello Zodiac contro la fiancata sembra dare vita alla giornata.
Scendo lentamente la scaletta mentre il caffè fa effetto e scaccia con un brivido il sonno dalla testa.
Il Babbo mi segue, come al solito silenzioso come un gatto, pinzando il bordo della scala con le mani.
Si mette ai remi e ci allontaniamo attenti a non rompere l’incantesimo, come imbarcazione da voga il gommone fa schifo ma con la bonaccia e l’abilità del comandante andiamo ad un’andatura discreta.
Una volta allontanatoci metto in moto il motore e mi sembra di violare un monastero, lo metto al minimo e ronzando ci dirigiamo verso il gavitello.
Ieri sera abbiamo calato le retine, non tanta roba saranno duecento metri di tramaglio, e non è propriamente previsto come sistema ludico di pesca.
Abbiamo calato con un segnale solo usando un parabordo piccolo che sembrasse perso da qualche diportista distratto, come zavorra abbiamo usato due zinchi dell’elica e fanno il loro dovere.
Non ho mai pescato con le reti, è un sistema che non mi affascina , non prevede un confronto di abilità diretto fra preda e predatore , lo assimilo più alla raccolta che alla caccia.
Ma tant’è sempre di pesci si tratta e io non ho dormito una minchia per la trepidazione.
Non ci siamo ancora rivolti una parola solo adesso il Bà mi dice “ Tir su”.
Ci scambiamo posto e afferro il parabordo, recuperando tutta la caluma arrivo allo zinco poi, dopo dieci bracciate, alla rete.
Provo a tirare ma è piuttosto pesante, forse si è arroccata su uno scoglio, strano perché abbiamo calato fra sabbia e posidonia.
Il babbo mi prende gentilmente la rete dalle mani e comincia a recuperare, mi pare senza fatica.
Mi sa che la mancata evirazione ha avuto conseguenze gravi per il mio fisico.
Io ripongo la rete nel cestone e aspetto di vedere qualche pesce.
Qualche?
Cazzo non ci posso credere è l’albero della cuccagna, soglioloni giganti, rombi, razze nere e pericolose che sferzano l’aria con il loro aculeo sulla coda, Il babbo le guarda un po’ schifato ma a me sembrano meravigliose e ancora triglie e qualche seppia.
Prendo al volo un polpo che si era attardato a divorare una corvina intramagliata e poi pesci prete e qualche scorfano.
Il pesce prete è bellissimo, vive sul fondo ed ha la bocca in verticale, assomiglia ad un pugile o ad un bulldog e a me piace tantissimo fatto in umido.
Andiamo a remi fino alla spiaggia più vicina e mentre il sole fa capolino sul mare ad est cominciamo a pulire la rete.
E’ necessario farlo subito e mentre sfiliamo gli scorfani con precauzione dalle maglie usando il metodo soft, testa schiacciata dai due zinchi, cominciano ad arrivare le api.
Non pungono ma sono moleste e fastidiose, quando provano ad infilarsi nel naso storto del babbo lui le scaccia con una sbuffata stile elefante.
La baia si sta svegliando e dobbiamo fare presto, già i primi francesi si tuffano dalle barchette a vela.
“ Bà ma prchè I fan ‘l bagn alle se ‘d matina?”
“ Cagano”
Mi ha devastato la poesia ma ora mi spiego tante cose.

lunedì 16 marzo 2009

Dolore

Mi sono chiuso il pisello in un cassetto.
Non so come ho fatto ma questo è il risultato.
E’ il degno coronamento di uno dei miei “periodi di sangue”.
Di solito vado a strisce, per un po’ non mi faccio nulla poi comincio con un taglio di coltello nel polpastrello, grattugiamento di ginocchio contro uno scoglio, distorsione alla caviglia, trauma costale facendo un tuffo eccetera, in un’escalation che di solito mi porta al pronto soccorso.
Poi mi calmo e attendo il periodo di sangue successivo.
Dovevo capirlo ieri quando per tirare ad un polpo mi sono sparato un colpo di cinque punte su una pinna.
Non so comè andata, insomma ero lì appena alzato e mi sono spogliato per cambiarmi , il babbo ed il cuoco erano a terra per portare il Signor B. al Golf e comprare i giornali, Gazzetta dello sport e nuova Sardegna.
Io mi godevo il momento di intimità e giravo per la cabina nudo con il bimbo un po’ barzotto, ho aperto il cassettone sotto al letto ho tirato fuori mutande, pantaloncini e maglietta con su scritto GALATEIA Y.C.I. e li ho stesi sul letto.
Poi mi sono sporto per prendere un Mister No che mi era caduto di mano addormentandomi e mi sono trovato con le cosce a contrasto con il bordo del letto, per qualche malsano motivo ho piegato le ginocchia e colpito il cassetto con le gambe.
In trappola.
Dolore mostruoso e sensazione di cesoiamento, sento talmente tanto male che non riesco a ragionare, il cassetto è chiuso quasi del tutto e non riesco ad infilare le mani nelle maniglie perché non le vedo.
Resto così per un tempo indefinito ed intanto sento che quello che è rimasto dentro, sempre che sia attaccato, comincia a gonfiarsi. Gioco il tutto per tutto, artiglio il bordo del cassetto con le unghie e scavando come un tasso riesco a scostare un po’ la tagliola.
Ho quasi risolto il problema principale che è quello di non farmi trovare da mio padre mentre mi accoppio con un mobile, cosa che non mi sarei mai perdonato.
Sfilo il flauto dalla custodia e valuto i danni.
Non sanguina ed è sempre intero però la punta mi pulsa ed è nero bluastra, non penso sia un bel segno.
Mentre ululo la frustrazione di non essere arrivato sano al mio primo rapporto sessuale zampetto in cucina alla ricerca di ghiaccio, penso a come sarà strano se me lo dovessero accorciare.
Mi vengono davanti agli occhi le mani senza falangi di Carlambrò, l’amico falegname di mio padre e piango nel silenzio della barca.
Mi ritrovano a letto con il lenzuolo tirato fin sotto al mento.
“ Cost’ à ninin, T stà mal?”
“ ‘Am fà mal la pancia , à dorm un pò”
Basta cassetti, da ora in poi solo scaffali.

giovedì 12 marzo 2009

Mister B.

Finalmente è arrivato, è sceso dal taxi srotolando il suo lungo corpo allampanato, si è messo in posizione, spalle e schiena dritte, ha allungato il passo, aperto un sorriso enorme ed ha teso la mano al Babbo.
Poi mi ha salutato calorosamente e mi ha guardato con quegli occhi blu intenso velati da quel velo di tristezza che hanno gli uomini senza figli quando guardano i figli degli altri.
Mi soppesa, ormai lo ho quasi raggiunto in altezza e sembra pensare a quando mi teneva in braccio. Lo conosco da sempre e me lo ricordo da piccolo come papà gamba lunga nel film di Fred Astaire, etereo, lungo lungo e con sempre un regalo in mano.
Quella luce quasi dolce nello sguardo la riserva solo a me, per il resto sembra intagliato in qualche materiale metallico piuttosto resistente.
Mascella quadrata, testa pelata coperta da qualche efelide e macchie di vecchiaia, corpo dritto come un fuso, piedi enormi, dentiera da combattimento, voce profonda.
E’ il Signor B., l’Om Nguilla.
Sprizza di energia ed è uomo anguilla per questo, per il suo movimento inarrestabile, non perché sia sfuggente anzi affronta le cose di petto e non scende a compromessi.
E’ un degno avversario del babbo e sono legati da un rispetto reciproco che ha sempre consentito di ricucire gli strappi inevitabili fra due caratterini del genere.
Saluta allegramente il cuoco e fa un cenno di approvazione al babbo quando rimira il Galateia in tutto il suo splendore.
I patti sono chiari, è lui l’armatore e decide cosa fare e dove andare ma l’anima della barca appartiene al comandante.
Sale a bordo ed io mi preoccupo dei bagagli e delle mazze da golf che sistemo accuratamente nella cabina armatoriale di poppa.
Non sembra per niente stanco mentre si accomoda in salone ed il cuoco gli prepara uno spuntino veloce.
Gli servo sulle tovagliette di bamboo che ho tolto dalla credenza un’insalata ed un petto di pollo, è morigerato specie da quando gli è venuto l’infarto, lui condisce il tutto con un bicchiere di latte.
Le abitudini alimentari sono un po’ strane, come le sue origini, padre tedesco e madre di Castellamare di Stabia, e dopo cena inizia la sola attività che innervosisca veramente il babbo, la succhiata di denti.
Al terzo suono sinistro, come se fosse un segnale, il comandante scende in sala macchina ed accende i suoi bambini, penso che abbia approfittato della discesa per stritolare qualche pezzo di metallo con le mani, risale dalla sala macchine trasportando i suoi cento e passa chili ad una velocità sorprendente, si mette ai comandi mentre io i Giulio molliamo gli ormeggi.
Torniamo ad essere un’isola al centro di una rada.

venerdì 6 marzo 2009

Artu'

Nuova banchina di Olbia, c’è un piazzale immenso asfaltato di fresco che sotto il sole fa sentire tutto il suo odore di petrolio.
Sta montando maestrale ed il vento rimbalza sul terreno, ci arriva in faccia una folata calda di sabbia e pece.
Mettiamo fuori i parabordi dal lato sinistro e ci avviciniamo alla banchina , io sono di prua ed il cuoco di poppa con una cima per uno.
Il comandante accosta dolcemente e tiene la barca sui motori, con il vento che tenta di allontanarci dall’ormeggio.
Passo la cima dentro una campanella, un grosso anello, e faccio una gassa con il mio metodo.
La gassa, se la fai come ti insegnano a scuola, ti ci vogliono due mani e non la puoi eseguire con una cima in tensione, ho il mio sistema che mi consente di farla in scioltezza anche con una mano sola.
Passo la cima nell’anello, faccio un nodo semplice, lo giro verso il basso, faccio passare il dormiente sotto il corrente, la rinfilo nel nodo e voilà.
Il Babbo mi guarda soddisfatto, il cuoco incappella una bitta e siamo in banchina.
Guardo in terra e vedo una nuvola che si alza lontano.
E’ un cavaliere che si avvicina al galoppo lasciando una scia di polvere dietro di se.
E’ Andreino.
Arriva sottobordo ad una velocità folle per la sua cavalcatura, tira il freno a mano, fa un testacoda e si ferma proprio sul bordo della banchina.
Andreino è paralitico, ha qualcosa alle gambe, che sono nascoste sotto un plaid a scacchi e vive incastrato nella sua motocarrozzina rossa, è un centauro meccanico.
E’ il factotum del porto, ufficialmente è l’acquaiolo ma si occupa di tutto, dalle provviste alle pratiche con la capitaneria, sa trovarti con la stessa facilità un tender nuovo o un mulo cieco, posto che uno sappia cosa farsene.
Salto a terra e recupero dal portapacchi le tre forme di formaggio che aveva promesso al babbo l’anno prima.
Il bà gliele pagherà una cifra spropositata come al solito con mutua soddisfazione.
Il bottiglione di vino rosso da cinque litri e il fiasco di Filu ‘e ferru sono omaggio.
Passo le forme al cuoco che corre in cucina ad imbustarle nel domo pack prima che appestino tutta la barca.
Il comandante ed Andreino si mettono d’accordo per il rifornimento d’acqua e di gasolio, io mi avvicino al cavaliere e gli consegno quasi tutti i miei risparmi e gli spiego cosa mi serve.
Lui parte sgommando con alle spalle un mantello di lenzuola sporche da portare in lavanderia.
“ Quand I arriv ‘l Signor B?”
“Stsera alla seta”
Approfitto per fare un giro in banchina e sgranchirmi le gambe, né il babbo né il cuoco ne sentono l’esigenza, di solito restano a bordo per tutta la stagione, specialmente il Bà.
Cammino lungo il bordo e controllo se ci sono pesci all’ombra del molo, mi pare di vedere qualche sarago e qualche orata di piccola taglia c’è pieno di muggini enormi che sicuramente sanno di gasolio.
Arrivo fino all’edicola e compro tutti i “Mister No” che riesco a trovare, qualche Topolino e un paio di Zagor.
Occhieggio voglioso i giornaletti zozzi ma non trovo il coraggio di comprarli, non saprei nemmeno dove imboscarli a bordo, torno indietro.
A metà strada vengo raggiunto alle spalle dalla motocarozzina lanciata a folle velocità, mi fa il solito testacoda davanti e mi guarda.
Mi consegna un paio di pinne Rondine della mia misura che sembrano intagliate nel marmo tanto sono rigide e pesanti.
Poi solennemente alza il plaid e mi consegna un fucile subacqueo oleopneumatico come se fosse una spada.
“Nuota anche per me”
Mi inginocchio e lo prendo dalle sue mani
“Sarà fatto mio sire”

martedì 3 marzo 2009

Seicento

Stiamo salpando per Olbia, andiamo a prendere il Signor B. che arriva da Milano.
La Signora S. è a Montecarlo nel miniappartamento sopra il tunnel dove passano le macchine di formula uno, arriverà la prossima settimana insieme agli Ospiti.
Tutto ciò l’ho dedotto dalle criptiche parole del Babbo.
“ Doman ‘a ‘mbarcan L’Om Nguilla, La Grinza al’ arriv dop ‘nsema alla banda”
Partiamo ed il comandante punta su Porto Rotondo per farmelo vedere almeno dal mare, sfioriamo Santa Marinella e entriamo nel golfo di Olbia.
Sul lato sinistro dell’imbarcazione il profilo quadrato della Tavolara, aspro e contornato di verde, il babbo mi indica sulla costa a dritta, sopra a Golfo Aranci, un pino che si staglia nell’azzurro del cielo.
“ Se c’è un pino solitario è quello”
E’ vero fa quasi tenerezza solo su quel costone.
Stamani ho avuto la pessima idea di farmi il caffellatte, di solito bevo solo caffè, e sgancio una puzza terribile.
“’T m par la Ghifa drent la secent”
“Come?”
“La ghifa, I à l’ budlon maestr marc, quando scorreggia sembra un attacco con il gas nervino”
“ E la secent?”
“ Erano in macchina durante una Lunidiana, la loro uscita settimanale del lunedì.
Al volante della seicento c’era il Sergente York, nel sedile davanti Gigi ‘l Zopp con la sua gamba inchiodata, dietro la Ghifa e Piccola Scure. Avevano fatto una cena a base di stoccafisso e polenta ed erano un po’ brilli, improvvisamente la Ghifa ha sganciato un tuono stile Odino e tutti hanno pensato “ meno male se fa rumore non puzza.”
Lo hanno pensato per quattro secondi poi è arrivato il veleno”
“ Era così fetente?”
“ At lò dit, Vlin. Il Sergente York ha fermato subito la macchina, ma non conoscendo la seicento, che era di Piccola Scure , cercava la maniglia dalla parte sbagliata, lui aveva una Simca e le porte della seicento si aprivano alla rovescia, da prua a poppa. Gigi ‘l Zopp era riuscito ad aprire la portiera ma si era incastrato con il bastone e la gamba di legno per cui non riusciva ad uscire, la Ghifa non ci pensava nemmeno e mugnava “il Barcarolo va contro corrente” come niente fosse, Piccola Scure era intrappolato ed era virato sul verde e vomitava.”
“Sono rimasti così per alcuni minuti, quando Gigi è riuscito ad uscire era troppo tardi, hanno preferito tornare a casa a piedi per non dover rientrare in quell’inferno”
“ E la macchina?”
“ E’ rimasta lì per alcuni giorni, nessuno osava avvicinarsi, poi Piccola Scure l’ha portata in garage ma si scrostava la vernice sul tetto ed ha continuato ad avere problemi di carburazione finché non l’ha venduta ”
“ Ma dai Bà non è possibile”
“ Ma a te cos at cost crediri?”
“Niente”
“Nol ber pù ‘l lat la matina”
“Va ben”