Finalmente è arrivato, è sceso dal taxi srotolando il suo lungo corpo allampanato, si è messo in posizione, spalle e schiena dritte, ha allungato il passo, aperto un sorriso enorme ed ha teso la mano al Babbo.
Poi mi ha salutato calorosamente e mi ha guardato con quegli occhi blu intenso velati da quel velo di tristezza che hanno gli uomini senza figli quando guardano i figli degli altri.
Mi soppesa, ormai lo ho quasi raggiunto in altezza e sembra pensare a quando mi teneva in braccio. Lo conosco da sempre e me lo ricordo da piccolo come papà gamba lunga nel film di Fred Astaire, etereo, lungo lungo e con sempre un regalo in mano.
Quella luce quasi dolce nello sguardo la riserva solo a me, per il resto sembra intagliato in qualche materiale metallico piuttosto resistente.
Mascella quadrata, testa pelata coperta da qualche efelide e macchie di vecchiaia, corpo dritto come un fuso, piedi enormi, dentiera da combattimento, voce profonda.
E’ il Signor B., l’Om Nguilla.
Sprizza di energia ed è uomo anguilla per questo, per il suo movimento inarrestabile, non perché sia sfuggente anzi affronta le cose di petto e non scende a compromessi.
E’ un degno avversario del babbo e sono legati da un rispetto reciproco che ha sempre consentito di ricucire gli strappi inevitabili fra due caratterini del genere.
Saluta allegramente il cuoco e fa un cenno di approvazione al babbo quando rimira il Galateia in tutto il suo splendore.
I patti sono chiari, è lui l’armatore e decide cosa fare e dove andare ma l’anima della barca appartiene al comandante.
Sale a bordo ed io mi preoccupo dei bagagli e delle mazze da golf che sistemo accuratamente nella cabina armatoriale di poppa.
Non sembra per niente stanco mentre si accomoda in salone ed il cuoco gli prepara uno spuntino veloce.
Gli servo sulle tovagliette di bamboo che ho tolto dalla credenza un’insalata ed un petto di pollo, è morigerato specie da quando gli è venuto l’infarto, lui condisce il tutto con un bicchiere di latte.
Le abitudini alimentari sono un po’ strane, come le sue origini, padre tedesco e madre di Castellamare di Stabia, e dopo cena inizia la sola attività che innervosisca veramente il babbo, la succhiata di denti.
Al terzo suono sinistro, come se fosse un segnale, il comandante scende in sala macchina ed accende i suoi bambini, penso che abbia approfittato della discesa per stritolare qualche pezzo di metallo con le mani, risale dalla sala macchine trasportando i suoi cento e passa chili ad una velocità sorprendente, si mette ai comandi mentre io i Giulio molliamo gli ormeggi.
Torniamo ad essere un’isola al centro di una rada.
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