“Tirt su, ‘ndian”
Il babbo mi ha appoggiato la mano callosa sul petto e mi ha scosso gentilmente, ero sprofondato in un sogno a base di compiacenti odalische dalle sembianze familiari e mi sveglio di soprassalto in preda al testosterone.
Cerco di ricompormi mentre il babbo si gira e lascia dietro di se una scia di caffè e fumo.
Il cuoco si è già alzato e mi sembra sia notte fonda, sento le sartie sbattere forte sugli alberi e i gabbiani gridano isterici.
In cucina l’orologio di acciaio mi informa che sono le tre e un quarto, la barca si muove e comincia a sbandierare sull’ancora, spostata da un vento che fischia rabbioso le prime raffiche.
Seguo in sala macchine il comandante che avvia i motori, il verde martellato della vernice brilla sotto la luce a basso voltaggio, risaliamo veloci le scalette che ci portano in coperta .
Si mette ai comandi, io mi fiondo di sotto e recupero un maglione ed un’incerata, passo dal portello e apro il pozzo delle catene, Giulio è lì vicino, colpisce la castagna con la mazza di legno ed iniziamo a salpare l’ancora.
Da quello che sono riuscito a vedere non butta tanto bene, dalle raffiche di prima siamo passati ad un muggito sordo , mi arrivano sulla schiena schizzi di acqua salata, è tutto nero intorno.
Appena l’ancora risuona nel suo alloggio fisso i fermi del portello e in qualche modo raggiungo la timoneria.
“Mò i ariv”
A dir la verità pensavo fosse già arrivato e non capisco dove stiamo andando, ci siamo lasciati dietro i Lavezzi ma non riesco a vedere il faro di Santa Teresa.
A metà tragitto il mare comincia a montare davvero e si sentono dabbasso i primi lamenti, qualcuno è caduto dalla cuccetta.
Gli ospiti arrivano trafelati e non riescono a stare in piedi un po’ per il sonno e molto per il rollio, il babbo li prega di stare seduti in salone e di non muoversi.
Il Signor B. sale per ultimo e guarda il comandante, abbassa il mento e annuisce, il babbo lo fissa dritto per qualche secondo e fa segno di sì con la testa.
Riusciamo ad arrivare dietro Capo Ferro dopo qualche ora di patimento, surfando con il mare in poppa i prodromi di quella che sembra essere una maestralata con i fiocchi.
La quiete parziale di Cala di Volpe mi sembra un sogno rispetto a quello che abbiamo intuito prima.
Non l’abbiamo visto ma il mostro era lì in agguato, per questa volta siamo stati più svelti noi, l’odore del suo alito sa di sale e fulmini, mi resterà in testa.
Di sotto è un discreto disastro e non credo che la moquette tornerà come prima, il problema è che non troviamo la Rapa.
La trova Francè nella doccia della cabina armatoriale, discretamente ricoperta di merda, sbava un po’ ma sembra stare abbastanza bene.
“A Casa”
“Si, siamo a casa”
“A CASA”
Forse intendeva un’altra cosa.
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Mi ricordo quando abbiamo fatto la traversata sul Galateya da Montecarlo a fiumaretta ... io facevo la marinara e ho provato anche a rifarmi la cuccetta. Ho visto la madonna!
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