Non è che mi abbia lasciato solo, ha controllato sul radar che non ci fossero imbarcazioni nel giro di quattromilioni di miglia marine, ha verificato la posizione e controllato la rotta , poi si è messo di poppa con il piede sulla panca e guarda fuori con il vento nel naso, lascia dietro di noi una lunga scia di mozziconi come un pollicino di 100 chili, la bandiera tedesca schiocca alle sue spalle issata sull’asta di pitchpain.
Io gioco a fare il timoniere e l’impegno mi fa crocchiare i nervi delle mani, non riesco a mollare con gli occhi la bussola ma devo fare attenzione perché sto usando troppo timone , la barca reagisce giustamente con un po’ di ritardo alle brusche sollecitazioni ed avanziamo a zig zag scadendo verso sinistra, se continuo così ci ritroviamo in Croazia.
Il vento ha un po’ mollato, il mare sta bonacciando e sicuramente quando ci troveremo a ridosso di Capo Corso le condizioni miglioreranno ancora.
Ho troppo da fare per pensare alla nausea che è quasi scomparsa e cedendo al ritmo del beccheggio e al pulsare dei due motori che ronfano come gattoni ripenso a come è iniziato questo viaggio.
Ho passato un inverno di merda, tormentato da un infantile amorazzo non corrisposto mi sono arrampicato per 42 giorni di scuola consecutivi fino alla Chiesa di San Pietro a Portovenere.
Ovviamente non ci sono mai entrato dentro, appollaiato sotto il portico a picco sul mare ho pianto, scritto lettere piene di appiccicosi sentimenti che ho consegnato ad un mio amico anziché a lei, mi sono sbronzato di mattina e ho sviluppato dipendenza da tutti i flipper della zona.
Il quarantatreesimo giorno c’erano le udienze.
Io non lo sapevo.
La mamma si.
Mentre venivo consolato dalle due mie amiche , una bionda dalle tettone e una mora con il culo piu’ bello di tutte le russie, che trascuravano tutti i fidanzati per leccarmi le lacrime dalla faccia come due gatte affettuose, spiegandomi che la mia amata era un nano malefico che non mi meritava, a casa si stava preparando un’accoglienza di riguardo per il giovane virgulto.
Finite le scene di conforto la mora mi fa’:” ma per le udienze come hai fatto?”.
Gelo.
Torno a casa sobbarcandomi i 50 km di pullman sentendomi una merda, cercando di trovare una scusa plausibile.
Entro in casa terrorizzato, i miei mi aspettano in cucina, odore di polenta e di soffritto.
“ Noaltri andian via do dì, ‘t sen grand, fa la prsona seria”
Cazzo, niente urli o ceffoni, solo il peso della mia stronzaggine.
Dopo due giorni il babbo mi comunica che L., il suo marinaio è gravemente malato e che per la stagione estiva non vorrebbe sostituirlo per fare arrivare lo stipendio completo alla famiglia.
Non aspettavo altro.
“A vegn me, an son tant bon ma a son fort”
Mare mare mare mare mare per tre mesi, niente donne crudeli, niente scuola tanto sono spacciato e mi schiacceranno come un pidocchio, pesci, vento e chissà cosa.
Sono felicissimo ma non lo do a vedere, come se fosse un sacrificio ed io un ometto tanto responsabile anziché quel piccolo figlio di puttana ruffiano che sono.
Non ci cascano nemmeno per un’istante ma si guardano e dicono insieme
“Brav”
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