venerdì 10 luglio 2009

Cavad

Stamani mi sono alzato presto, poco dopo l’alba.
Non so perché avevo una strana agitazione addosso, forse nostalgia della mamma e di mio fratello, forse mi mancano i giochi e le follie in motorino con gli amici, non so.
Sono salito in coperta e mi sono piazzato di poppa seduto sulla falchetta, con la mano destra attaccata alla sartia ed ho inalato goloso l’aria del mattino, piena di umido e di odori.
Sulla spiaggia c’è un cavallo, non sapevo nemmeno ci fossero a Cala di Volpe i cavalli, che bruca pacifico un cespuglio ai limiti della rena, ha alzato la testa, annusato qualcosa con le froge e piano piano è sparito dietro le dune.
Ho sempre guardato i cavalli con un po’ di diffidenza, riesco ad entrare in sintonia con qualsiasi tipo di animale ma l’equino mi turba.
Il babbo era matto per queste bestie quando era bambino, suo zio li allevava e lui mi racconta che la sensazione di libertà provata cavalcando a pelo è meravigliosa.
La nonna aveva stroncato questa passione, il suo primo figlio, Tonino, era morto a tredici anni per una piccola ferita riportata guadando la Fossa Maestra con un baio, la nonna era entrata in ospedale bionda e madre ed era uscita dopo quarantotto ore con la testa canuta ed un figlio morto tra le braccia.
Tetano.
Da piccolo andavo con il babbo a caccia di merda, come tutti i marinai aveva una passione ed un attaccamento per il suo orto, simbolo della sua terra, praticamente morbosa.
Quando serviva il letame andavamo ad un piccolo maneggio al Cinquale, lo stalliere era un piccolo uomo molto muscoloso, con gli occhi azzurri di un bambino e tanti tatuaggi sulle braccia.
Era stato un fantino, poi la galera per più di dieci anni, non so per cosa, era timidissimo e parlava a stento, sembrava un buon uomo.
Viveva, per gentile concessione del padrone del maneggio, in un box per cavalli, in una condizione di così palese povertà, che mi veniva spesso da piangere ripensandoci a casa.
Cinquecento lire alla settimana, vitto e alloggio per accudire tutti i cavalli, era meno di quanto spendessi io in gelati e giornalini.
Il babbo, pagato il letame, gli allungava una mancia pari al suo stipendio di sei mesi, lo stalliere provava a rifiutare, il babbo lo aiutava a caricare la merda sull’Apecar che ci facevamo prestare all’uopo da Nuvola Rossa.
L’ultima volta che l’ho visto gli mancava la mano sinistra, un incidente sul lavoro, aveva gli stessi occhi blu stupiti, tristi, ed era sempre grato al padrone che gli dava comunque un lavoro a lui, terrone, fantino, galerano e con una mano di meno.
Per quattrocento lire alla settimana perché un monco spala peggio la merda.

2 commenti:

  1. Ricordo che tuo babbo era affezionato anche alla merda ma non sapevo del fantino. E' uno dei racconti che mi mancano

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  2. Cavolo cio' la lacrima (come marito)

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