venerdì 15 maggio 2009

Libertà

E’ strano quanta libertà riesci a provare compresso in 26 metri di barca.
Uno pensa alla convivenza forzata, al doversi adattare al condividere suoni, odori e cibo con gli altri ed è anche vero, ma ci sono dei momenti in cui ti ricavi il tuo angolino e lasci andare la mente, semplicemente perché hai il tempo di farlo.
Il mio posto è a prua sulla tormentina.
Dopo una giornata di giochi, di lavoro, dopo aver servito in tavola e aiutato il cuoco a rigovernare, dopo aver controllato che le luci siano spente e che l’ancora tenga bene, mi adagio lì.
E mi apro al cielo sopra di me, mescolo sensazioni, ricordi della giornata, sogni, desideri e stelle e parte la mia proiezione personale.
Le cose le vedo, non le immagino, ma probabilmente è la stessa cosa.
Non scelgo mai il tema, c’è una parte dentro di me destinata a svolgere questa attività, io mi sdraio e guardo mentre il babbo fuma di poppa, non mi ha mai chiesto niente al riguardo, forse sta guardando anche lui il suo film.
Stasera butta male, al Gran Cinema Tormentina danno qualcosa di terribile, una storia di guerra scaturita non dalle mirabolanti ed edulcorate storie del babbo ma da una conversazione origliata tra mia madre e la Isa, la moglie del cuoco.
Nel paese sul monte c’è un gerarca fascista pacioso e inerme, mandato a presidiare quel covo di anarchici ribelli con i quali condivide la fame ed il vino.
La sera dell’armistizio si mette per la prima volta la divisa, addirittura l’alta uniforme, va al grammofono e lo carica, mette Giovinezza a tutto volume ed esce sul balcone.
Si aprono le finestre e la gente lo guarda stupita, tiene nella mano destra una baionetta, sulla baionetta è infilzato il figlio in fasce della vicina di casa, un rivolo di sangue gli scende lungo il braccio e gli sporca la manica della camicia inamidata.
Lo prendono le donne, le vedove di guerra, le vedove di cava, le vecchie, le bambine, è un paese di donne e vecchi.
Distruggono la porta e lo trascinano sul ponte, l’unico punto in piano del paese.
Cinquecento persone, in silenzio, cinquecento schiaffi, uno per uno, che nessuno sia esentato.
Lo prendono, più morto che vivo, e gli mettono una cavezza al collo come a un mulo.
Due vecchi lo tirano verso il monte, verso la Tana dei Tufi, una grotta naturale con l’entrata stretta e le camere grandi, misteriose addobbate di stalattiti.
Tornano soli al ponte, loro piangono, le donne no.
La libertà costa.
Sempre.
La memoria non deve svanire.
Mai.

2 commenti:

  1. Mi viene il vomito. Dovresti prendere un paio di giorni di ferie e cortocircuitarti con mia nonna, di anni 96, che partirebbe con racconti di sfollati fascisti e campi di concentramento. Eppure sono racconti sentiti piu' che ricordati e che io non riesco a trascrivere e fissare su carta. Solo la memoria.

    RispondiElimina
  2. Non perderla mai.
    Organizza il rendez vous con la nonna che mettiamo in collegamento i neuroni, queste storie non possono semplicemente sparire, non è giusto.
    Se fa male scriverle io sono disposto a sanguinare

    RispondiElimina