Stamani siamo partiti prima dell’alba, gli ospiti dormono ancora e noi ci muoviamo con la discrezione massima, come tre grossi gattoni.
Il comandante è stranamente nervoso, ha discusso a lungo con il signor B. che ha insistito per passare due giorni a Lavezzi.
Il Babbo, nonostante le previsioni buone per tutta la settimana, si è messo di traverso dicendo che non era il caso, alla fine ha vinto l’armatore sub conditione, si va, si valuta e poi decide il bà.
La navigazione è buona, ci teniamo sottocosta e da quello che riesco a vedere la giornata sarà splendida.
Siamo ormai davanti a Razzoli quando il comandante comincia a parlare.
“ Nel febbraio del 1855 la fregata francese Semillante proveniente da Tolone e diretta in Crimea, arrivò a Capo Testa con delle condizioni meteo terribili. Aveva a bordo 300 uomini di equipaggio e 600 soldati, il comandante si trovò ad affrontare un vento di ponente terrificante, poi girò a libeccio pieno, per cui decise di attraversare le Bocche di Bonifacio per proseguire la navigazione a ridosso della costa est della Sardegna.
Le Bocche avevano smesso di essere mare, erano diventate fiume e schiuma, la visibilità era nulla, le onde altissime, a terra volavano tetti ed animali.
Il comandante Jugan era abile, riuscì con una manovra azzardata ad evitare l’impatto con gli scogli dei Lavezzi, dopo un’ora di combattimento non ci fu più niente da fare, la nave esplose contro le rocce acuminate.
I soccorsi riuscirono ad arrivare solo dopo un giorno, non c’era un singolo corpo da ricomporre, solo una miriade di brandelli assaliti dai gabbiani, della nave solo qualche cannone spiaggiato al centro dell’isola e schegge di legno minuscole.
Sepellirono quei resti miseri direttamente sull’isola, piantarono mille croci, alcune sono altissime e si vedono da distante.
Sono il nostro monito, le Bocche urlano e poi ti mangiano”
“Cazzo.”
“ E poi ‘ai iè i gabian chi fan ‘l vers al’as”
“Eh?”
“I gabbiani per qualche motivo hanno imparato ad imitare il verso degli asini che vivono sull’isola, ci sono anche delle mucche, e di notte fanno un casino bestiale”
‘Sti Lavezzi mi iniziano a preoccupare un po’.
Finalmente attraversiamo e Bocche e ci avviciniamo all'Eden.
Non ho mai visto una bellezza del genere, una miriade di scogli che spuntano dal blu profondissimo che si diluisce in tutte le tonalità dell’azzurro mano a mano che diminuisce il fondale, sassi di un granito chiarissimo screziato da fiori viola e gialli, una specie di laguna dove galleggiano mollemente barche di piccole dimensioni, un faro enorme ed apparentemente sproporzionato, le croci.
Non amo farmi impressionare dai giudizi degli altri, cerco sempre di rimanere aperto a quello che sento, non ho mai letto la critica di un film né la prefazione di un libro, rifiuto il condizionamento.
Per cui dimentico all’istante il racconto del babbo ed ululante mi lancio in mare appena effettuato l’ancoraggio che ha richiesto più tempo del solito.
Se in superficie è bello sotto è impressionante, cadute, scalini , sassi enormi, secche che arrivano al pelo dell’acqua, canaloni popolati da gorgonie, e peeeeeeeeeeeeeeeeeesci.
Enormi, di tutte le specie, e soprattutto fermi.
Sparacchio per dieci minuti prendendo prede che mai avrei immaginato, poi mi fermo sentendomi un po’ stronzo, è troppo facile.
Rientro a bordo con una fagottata di roba e con un sorriso smagliante, il babbo mi guarda.
“Ma ‘t sen arumababit? E’ riserva naturale, se ci prendono i francesi ci fanno neri”
“………”
Sopra di noi passa un gabbiamo, adocchia il retino del pesce, raglia come un pazzo, rutta e si allontana.
Può solo migliorare.
giovedì 21 maggio 2009
lunedì 18 maggio 2009
Robin Hood
“Bà, ma perché la moglie della Ghifa ti aveva preso ad ombrellate?”
In realtà la risposta la so già, ma mentre gli passo gli attrezzi per riparare il generatore Onam provo a distrarlo, così si incazza meno.
Siamo in sala macchine dopo essere rientrati da una gita per l’arcipelago, il termometro sfiora gli ottanta gradi e la riparazione va fatta subito.
Siamo completamente bagnati di sudore, io a torso nudo e lui con la maglietta blu del Galateia che è praticamente nera da tanto che è zuppa.
L’Onam è un piccolo gioiello americano, completamente insonorizzato e piccolo come una valigia, sproporzionato rispetto all’opulenza dei motori teutonici, è in grado di produrre corrente a 12, 24 e 220 volt ed è silenziosissimo.
Peccato che se si guasta non hai spazio per metterci le mani, il babbo sta provando ad estrarre un iniettore e si è spellato tutte le nocche disponibili, l’iniettore rimane al suo posto arroccato come un dattero.
Prova anche la mossa speciale con il dito storto, il generatore se ne fotte.
Ecco, è diventata una cosa personale.
Bestemmia, MS e attacco all’arma bianca, il piccolo mostro reagisce con una chiusura accidentale del portello superiore, lo prendo al volo prima che amputi qualcosa al comandante.
Da qui la domanda.
E la risposta.
“Perché Robin Hood ‘I è ‘na testa ‘d cazz”.
La Ghifa ha da sempre questa passione per appianare i torti, fottere ai ricchi per dare ai bisognosi, ovviamente chi è ricco o bisognoso lo stabilisce lui con la sua inafferrabile logica personale.
Mettiamo che lui decida che hai bisogno di quattro chili di pittura metallizzata fosforescente verde perché ha visto che hai la ringhiera scrostata.
Tu la ringhiera la vuoi cambiare e mettere zincata, ma lui non lo sa o comunque se ne fotte, per cui inizia la catena per arrivare al barattolo.
Di solito inizia con un furto di verdura o un abigeato, poi inizia gli scambi.
Prende la gallina o il cavolo cappuccino e li porta dal meccanico delle bici che gli dà un manubrio rugginoso e un copertone in cambio, lui scambia la mercanzia con Gigi il barbiere gran appassionato di Bartali ed ottiene in cambio un taglio di capelli gratis per un mese a Scassagarretti.
Scassagarretti fà il rivenditore di vino per cui risponde con una serie di fiaschi di morcone imbevibile, due fiaschi li tiene la Ghifa e gli altri dirottano su Giusè il portuale.
Giusè tiene due fiaschi e passa gli altri a suo fratello che lavora all’Azienda Mezzi Meccanici che finalmente ciula quattro barattoli di vernice dal magazzino e li consegna alla Ghifa.
Alla mattina ti ritrovi la vernice sul terrazzo e non sai chi l’ha messa lì, anche se lo immagini, e sei obbligato a pitturare la ringhiera sennò si offende.
Ogni tanto le cose non vanno lisce ed il contadino o allevatore vessato gli cambia i connotati.
La moglie si preoccupa e lui da la colpa al babbo.
“ I’ è stat ‘l comandante, I’ sé girat con un rem ‘n man in mà vist e I’ mà rot ‘l mus”
Al decimo infortunio il babbo è stato aggredito dalla moglie, lui si è scusato e ha detto che sarebbe stato più attento.
Poi è andato dalla Ghifa e gli ha rotto il naso.
Lui è tornato a casa e ha dichiarato di essere scivolato.
Tutte le mattine porta il giornale al babbo, lui gli fa il caffè e commentano le notizie con grasse risate.
In realtà la risposta la so già, ma mentre gli passo gli attrezzi per riparare il generatore Onam provo a distrarlo, così si incazza meno.
Siamo in sala macchine dopo essere rientrati da una gita per l’arcipelago, il termometro sfiora gli ottanta gradi e la riparazione va fatta subito.
Siamo completamente bagnati di sudore, io a torso nudo e lui con la maglietta blu del Galateia che è praticamente nera da tanto che è zuppa.
L’Onam è un piccolo gioiello americano, completamente insonorizzato e piccolo come una valigia, sproporzionato rispetto all’opulenza dei motori teutonici, è in grado di produrre corrente a 12, 24 e 220 volt ed è silenziosissimo.
Peccato che se si guasta non hai spazio per metterci le mani, il babbo sta provando ad estrarre un iniettore e si è spellato tutte le nocche disponibili, l’iniettore rimane al suo posto arroccato come un dattero.
Prova anche la mossa speciale con il dito storto, il generatore se ne fotte.
Ecco, è diventata una cosa personale.
Bestemmia, MS e attacco all’arma bianca, il piccolo mostro reagisce con una chiusura accidentale del portello superiore, lo prendo al volo prima che amputi qualcosa al comandante.
Da qui la domanda.
E la risposta.
“Perché Robin Hood ‘I è ‘na testa ‘d cazz”.
La Ghifa ha da sempre questa passione per appianare i torti, fottere ai ricchi per dare ai bisognosi, ovviamente chi è ricco o bisognoso lo stabilisce lui con la sua inafferrabile logica personale.
Mettiamo che lui decida che hai bisogno di quattro chili di pittura metallizzata fosforescente verde perché ha visto che hai la ringhiera scrostata.
Tu la ringhiera la vuoi cambiare e mettere zincata, ma lui non lo sa o comunque se ne fotte, per cui inizia la catena per arrivare al barattolo.
Di solito inizia con un furto di verdura o un abigeato, poi inizia gli scambi.
Prende la gallina o il cavolo cappuccino e li porta dal meccanico delle bici che gli dà un manubrio rugginoso e un copertone in cambio, lui scambia la mercanzia con Gigi il barbiere gran appassionato di Bartali ed ottiene in cambio un taglio di capelli gratis per un mese a Scassagarretti.
Scassagarretti fà il rivenditore di vino per cui risponde con una serie di fiaschi di morcone imbevibile, due fiaschi li tiene la Ghifa e gli altri dirottano su Giusè il portuale.
Giusè tiene due fiaschi e passa gli altri a suo fratello che lavora all’Azienda Mezzi Meccanici che finalmente ciula quattro barattoli di vernice dal magazzino e li consegna alla Ghifa.
Alla mattina ti ritrovi la vernice sul terrazzo e non sai chi l’ha messa lì, anche se lo immagini, e sei obbligato a pitturare la ringhiera sennò si offende.
Ogni tanto le cose non vanno lisce ed il contadino o allevatore vessato gli cambia i connotati.
La moglie si preoccupa e lui da la colpa al babbo.
“ I’ è stat ‘l comandante, I’ sé girat con un rem ‘n man in mà vist e I’ mà rot ‘l mus”
Al decimo infortunio il babbo è stato aggredito dalla moglie, lui si è scusato e ha detto che sarebbe stato più attento.
Poi è andato dalla Ghifa e gli ha rotto il naso.
Lui è tornato a casa e ha dichiarato di essere scivolato.
Tutte le mattine porta il giornale al babbo, lui gli fa il caffè e commentano le notizie con grasse risate.
venerdì 15 maggio 2009
Libertà
E’ strano quanta libertà riesci a provare compresso in 26 metri di barca.
Uno pensa alla convivenza forzata, al doversi adattare al condividere suoni, odori e cibo con gli altri ed è anche vero, ma ci sono dei momenti in cui ti ricavi il tuo angolino e lasci andare la mente, semplicemente perché hai il tempo di farlo.
Il mio posto è a prua sulla tormentina.
Dopo una giornata di giochi, di lavoro, dopo aver servito in tavola e aiutato il cuoco a rigovernare, dopo aver controllato che le luci siano spente e che l’ancora tenga bene, mi adagio lì.
E mi apro al cielo sopra di me, mescolo sensazioni, ricordi della giornata, sogni, desideri e stelle e parte la mia proiezione personale.
Le cose le vedo, non le immagino, ma probabilmente è la stessa cosa.
Non scelgo mai il tema, c’è una parte dentro di me destinata a svolgere questa attività, io mi sdraio e guardo mentre il babbo fuma di poppa, non mi ha mai chiesto niente al riguardo, forse sta guardando anche lui il suo film.
Stasera butta male, al Gran Cinema Tormentina danno qualcosa di terribile, una storia di guerra scaturita non dalle mirabolanti ed edulcorate storie del babbo ma da una conversazione origliata tra mia madre e la Isa, la moglie del cuoco.
Nel paese sul monte c’è un gerarca fascista pacioso e inerme, mandato a presidiare quel covo di anarchici ribelli con i quali condivide la fame ed il vino.
La sera dell’armistizio si mette per la prima volta la divisa, addirittura l’alta uniforme, va al grammofono e lo carica, mette Giovinezza a tutto volume ed esce sul balcone.
Si aprono le finestre e la gente lo guarda stupita, tiene nella mano destra una baionetta, sulla baionetta è infilzato il figlio in fasce della vicina di casa, un rivolo di sangue gli scende lungo il braccio e gli sporca la manica della camicia inamidata.
Lo prendono le donne, le vedove di guerra, le vedove di cava, le vecchie, le bambine, è un paese di donne e vecchi.
Distruggono la porta e lo trascinano sul ponte, l’unico punto in piano del paese.
Cinquecento persone, in silenzio, cinquecento schiaffi, uno per uno, che nessuno sia esentato.
Lo prendono, più morto che vivo, e gli mettono una cavezza al collo come a un mulo.
Due vecchi lo tirano verso il monte, verso la Tana dei Tufi, una grotta naturale con l’entrata stretta e le camere grandi, misteriose addobbate di stalattiti.
Tornano soli al ponte, loro piangono, le donne no.
La libertà costa.
Sempre.
La memoria non deve svanire.
Mai.
Uno pensa alla convivenza forzata, al doversi adattare al condividere suoni, odori e cibo con gli altri ed è anche vero, ma ci sono dei momenti in cui ti ricavi il tuo angolino e lasci andare la mente, semplicemente perché hai il tempo di farlo.
Il mio posto è a prua sulla tormentina.
Dopo una giornata di giochi, di lavoro, dopo aver servito in tavola e aiutato il cuoco a rigovernare, dopo aver controllato che le luci siano spente e che l’ancora tenga bene, mi adagio lì.
E mi apro al cielo sopra di me, mescolo sensazioni, ricordi della giornata, sogni, desideri e stelle e parte la mia proiezione personale.
Le cose le vedo, non le immagino, ma probabilmente è la stessa cosa.
Non scelgo mai il tema, c’è una parte dentro di me destinata a svolgere questa attività, io mi sdraio e guardo mentre il babbo fuma di poppa, non mi ha mai chiesto niente al riguardo, forse sta guardando anche lui il suo film.
Stasera butta male, al Gran Cinema Tormentina danno qualcosa di terribile, una storia di guerra scaturita non dalle mirabolanti ed edulcorate storie del babbo ma da una conversazione origliata tra mia madre e la Isa, la moglie del cuoco.
Nel paese sul monte c’è un gerarca fascista pacioso e inerme, mandato a presidiare quel covo di anarchici ribelli con i quali condivide la fame ed il vino.
La sera dell’armistizio si mette per la prima volta la divisa, addirittura l’alta uniforme, va al grammofono e lo carica, mette Giovinezza a tutto volume ed esce sul balcone.
Si aprono le finestre e la gente lo guarda stupita, tiene nella mano destra una baionetta, sulla baionetta è infilzato il figlio in fasce della vicina di casa, un rivolo di sangue gli scende lungo il braccio e gli sporca la manica della camicia inamidata.
Lo prendono le donne, le vedove di guerra, le vedove di cava, le vecchie, le bambine, è un paese di donne e vecchi.
Distruggono la porta e lo trascinano sul ponte, l’unico punto in piano del paese.
Cinquecento persone, in silenzio, cinquecento schiaffi, uno per uno, che nessuno sia esentato.
Lo prendono, più morto che vivo, e gli mettono una cavezza al collo come a un mulo.
Due vecchi lo tirano verso il monte, verso la Tana dei Tufi, una grotta naturale con l’entrata stretta e le camere grandi, misteriose addobbate di stalattiti.
Tornano soli al ponte, loro piangono, le donne no.
La libertà costa.
Sempre.
La memoria non deve svanire.
Mai.
mercoledì 13 maggio 2009
Ghepardo
Francè il giovane non è per niente male, è simpatico.
Ha i capelli come i miei, come un cartone animato giapponese, vanno in tutte le direzioni senza controllo, solo che i miei sono neri e i suoi biondastri.
Fine delle somiglianze.
Mi arriva alla vita ed ha la testa enorme, gli ho prestato la maschera e gli stringe brutalmente, è di gamba corta ma in mare si muove bene, si vede che è abituato.
Ha uno sguardo triste mentre guarda la sorella che garrula intrattiene il gruppo, lui è piuttosto silenzioso e questo a me va bene.
“ Vidisse quella là?”
“La piccolina?”
“Ma ti rendi conto di come l’hanno addestrata? E’ un nano da palcoscenico”
“E tu?”
“Me ne futtisse”
“Bagno?”
“Bagno”
E si va.
Prendiamo il gommone e ci accostiamo ad una spiaggetta vicino al Pevero, mi tengo un po’ fuori per non infastidire i bagnanti e butto l’ancora in una zona sabbiosa fra le praterie di posidonia.
E’ un buon posto, il fondale passa dalla sabbia allo scoglio e ci sono diversi pesciotti che ci fanno compagnia.
Brutalizzo un paio di saraghi e l’immancabile triglia, mi litigo con una seppia di taglia che vuole mordermi a tutti i costi e poi passo il fucile a Francè.
Mi fa un sorrisone di gioia, lo avevo già preparato a bordo dandogli consigli e direttive e pregandolo di puntarlo sempre verso il basso.
E’ un’iniziazione e lui la accoglie come tale, con trepidazione e serietà.
Fa più o meno tutto quello che gli ho spiegato, ha qualche difficoltà ad effettuare la capovolta e a togliersi il tubo di bocca con il fucile in mano, per il resto va alla grande.
Lo osservo per una mezzora a distanza di sicurezza, assicurandomi che non ci sia nessuno nelle vicinanze, saremo ad una cinquantina di metri dalla riva.
Ha distrutto qualche pesce di taglia infima e gli spiego che non si spara a niente che tu non voglia o non possa mangiare, annuisce.
Sulla riva ci sono delle nostre coetanee piuttosto spogliate, diciamo molto spogliate, e mi distraggo per un minuto mentre l’acqua intorno alla mia zona pelvica comincia a bollire.
E lui fa la cazzata.
Ha sparato su uno scoglio e si agita tutto, l’asta esce dalla pietra come la spada dalla roccia.
E lui si agita.
Per forza, non è uno scoglio, è un polpo mostruoso, mai visto niente del genere.
Mi immergo mentre il polpo si strappa il cinque punte da dosso, non so che cazzo fare, è davvero enorme.
Lo prendo per la testa e lo strappo dal fondo, si porta dietro una serie di sassi attaccati ai tentacoli. Mi si attacca al fianco destro e prova a mordermi con il suo becco, provo a girargli la testa e non ci riesco.
Riemergo, già respirare è un successone, sento le sue ventose dappertutto, dal piede fino dietro la schiena.
Mi gioco la carta Submariner.
Nuoto sul dorso pinneggiando come un pazzo verso la spiaggia, i bagnanti sono ignari, l’essere in acqua bassa mi consola.
Il mostro è sorpreso e non riesce ad addentarmi, ormai ci sono quasi e scelgo l’uscita spettacolare , nuoto immerso fino a riva e mi alzo di scatto.
Fosse sbarcato un alieno avrebbero fatto meno casino, urla e fuga dalla battigia, mi complimento con me stesso mentre mi strappo il cefalopode da dosso e faccio una manfrina esagerata per accopparlo.
Arriva anche Francè e siamo circondati da un nugolo di bagnanti che ci immortalano nelle polaroid.
Torniamo a bordo battendoci il cinque, lascio la gloria a lui, d’altra parte è giusto così.
Il babbo mi guarda e mi fa:
“’T ‘m par un ghepardo”
Sono tatuato su tutto il corpo dal segno delle ventose, una miriade di succhiotti.
Scendo in cabina fiero come Achab della sua gamba di osso di balena.
Ha i capelli come i miei, come un cartone animato giapponese, vanno in tutte le direzioni senza controllo, solo che i miei sono neri e i suoi biondastri.
Fine delle somiglianze.
Mi arriva alla vita ed ha la testa enorme, gli ho prestato la maschera e gli stringe brutalmente, è di gamba corta ma in mare si muove bene, si vede che è abituato.
Ha uno sguardo triste mentre guarda la sorella che garrula intrattiene il gruppo, lui è piuttosto silenzioso e questo a me va bene.
“ Vidisse quella là?”
“La piccolina?”
“Ma ti rendi conto di come l’hanno addestrata? E’ un nano da palcoscenico”
“E tu?”
“Me ne futtisse”
“Bagno?”
“Bagno”
E si va.
Prendiamo il gommone e ci accostiamo ad una spiaggetta vicino al Pevero, mi tengo un po’ fuori per non infastidire i bagnanti e butto l’ancora in una zona sabbiosa fra le praterie di posidonia.
E’ un buon posto, il fondale passa dalla sabbia allo scoglio e ci sono diversi pesciotti che ci fanno compagnia.
Brutalizzo un paio di saraghi e l’immancabile triglia, mi litigo con una seppia di taglia che vuole mordermi a tutti i costi e poi passo il fucile a Francè.
Mi fa un sorrisone di gioia, lo avevo già preparato a bordo dandogli consigli e direttive e pregandolo di puntarlo sempre verso il basso.
E’ un’iniziazione e lui la accoglie come tale, con trepidazione e serietà.
Fa più o meno tutto quello che gli ho spiegato, ha qualche difficoltà ad effettuare la capovolta e a togliersi il tubo di bocca con il fucile in mano, per il resto va alla grande.
Lo osservo per una mezzora a distanza di sicurezza, assicurandomi che non ci sia nessuno nelle vicinanze, saremo ad una cinquantina di metri dalla riva.
Ha distrutto qualche pesce di taglia infima e gli spiego che non si spara a niente che tu non voglia o non possa mangiare, annuisce.
Sulla riva ci sono delle nostre coetanee piuttosto spogliate, diciamo molto spogliate, e mi distraggo per un minuto mentre l’acqua intorno alla mia zona pelvica comincia a bollire.
E lui fa la cazzata.
Ha sparato su uno scoglio e si agita tutto, l’asta esce dalla pietra come la spada dalla roccia.
E lui si agita.
Per forza, non è uno scoglio, è un polpo mostruoso, mai visto niente del genere.
Mi immergo mentre il polpo si strappa il cinque punte da dosso, non so che cazzo fare, è davvero enorme.
Lo prendo per la testa e lo strappo dal fondo, si porta dietro una serie di sassi attaccati ai tentacoli. Mi si attacca al fianco destro e prova a mordermi con il suo becco, provo a girargli la testa e non ci riesco.
Riemergo, già respirare è un successone, sento le sue ventose dappertutto, dal piede fino dietro la schiena.
Mi gioco la carta Submariner.
Nuoto sul dorso pinneggiando come un pazzo verso la spiaggia, i bagnanti sono ignari, l’essere in acqua bassa mi consola.
Il mostro è sorpreso e non riesce ad addentarmi, ormai ci sono quasi e scelgo l’uscita spettacolare , nuoto immerso fino a riva e mi alzo di scatto.
Fosse sbarcato un alieno avrebbero fatto meno casino, urla e fuga dalla battigia, mi complimento con me stesso mentre mi strappo il cefalopode da dosso e faccio una manfrina esagerata per accopparlo.
Arriva anche Francè e siamo circondati da un nugolo di bagnanti che ci immortalano nelle polaroid.
Torniamo a bordo battendoci il cinque, lascio la gloria a lui, d’altra parte è giusto così.
Il babbo mi guarda e mi fa:
“’T ‘m par un ghepardo”
Sono tatuato su tutto il corpo dal segno delle ventose, una miriade di succhiotti.
Scendo in cabina fiero come Achab della sua gamba di osso di balena.
martedì 12 maggio 2009
H2O
Francè il vecchio è incontrollabile.
Ha iniziato una muta rivolta contro il razionamento dell’acqua e ci sta facendo impazzire tutti quanti.
In barca l’acqua è un bene prezioso come nel deserto, per farti una doccia devi prima bagnarti un poco, poi stacchi il rubinetto e ti insaponi, in seguito ti risciacqui usando meno acqua possibile.
I rubinetti sono a molla e le docce temporizzate, tutto è studiato per consumarne il meno possibile.
I gabinetti sono a pompa manuale, una volta riempiti ti attacchi alla leva e pompi come un disperato finché lui, il cesso, non digerisce i tuoi avanzi.
Usando poca carta altrimenti si intasa e facendoti un veloce bidet a molla per rinfrescarti.
Tutto ciò il Conte lo digerisce a stento e si è inventato una serie di trucchetti per fregarci.
Mi domandavo perché a cena si impadronisse tutti i tappi di sughero che trovava, l’ha scoperto il babbo.
Li incastra nei rubinetti e si fa la barba con l’acqua scrosciante , ha lasciato la doccia accesa tutta la notte per rappresaglia ed ha legato il rubinetto del bidet con il filo interdentale.
Ha allagato la moquette della cabina e siamo senz’acqua, la cassa delle acque nere è piena di prezioso liquido potabile.
Il Babbo è rosso come un peperone e temo per le coronarie, sta gentilmente spiegando a Francè che è un vecchietto cattivo cattivo e ammiro il fatto che per ora non l’abbia buttato fuoribordo.
Francè sorride come al solito e dice “ O’ piede marino, O’ piede marino”
Il babbo si spara un caricatore di MS e lo manda a cagare.
Il problema è che il Signor B. ha litigato con L’Aga Kan e a Porto Cervo non possiamo entrare, a Porto Rotondo ti spelano per l’ancoraggio di un giorno e il Signor B. non ci pensa nemmeno a spendere mille lire per quei ricconi di merda.
Soluzione, il rubinetto della Baffona.
Carico il gommoncino con quattro taniconi da venticinque litri, li assicuro con una funetta e plano fino alla banchina della Baffona, riempio le taniche domandandomi chi paga quell’acqua e torno indietro lentamente quasi affondato dal peso.
Facendo un breve calcolo, con 20 viaggi me la dovrei cavare mi ci vuole 15 minuti a viaggio e cinque minuti per far issare dal babbo e Giulio le taniche piene e rimpiazzarle con altre quattro vuote, in totale dovrebbero essere circa 7 ore di avanti e indietro.
Alla quarta ora sono completamente sfinito, mi arrampico a bordo e divoro tutto quello che il cuoco mi mette davanti.
Intercetto Francè che trotterella di prua con il panama in testa.
“Conte”
“Quant’è bbella ‘stà journata”
“Conte non lo farà più vero?’”
“ ‘O sole splente comme a Capri”
Gli faccio vedere la mano spellata e piena di vesciche.
Si fruga in tasca e mi allunga diecimila lire.
Le prendo, le piego e le pianto in coperta con il coltellino da nostromo che mi porto sempre dietro.
“Bbello guaglione”
“Francè basta ‘acussì”
“Posso fare a ‘varba?”
“ Solo la barba”
“Bbello guaglione”
“Francè…”
“’O piede marino?”
“’O piede marino”
Ha iniziato una muta rivolta contro il razionamento dell’acqua e ci sta facendo impazzire tutti quanti.
In barca l’acqua è un bene prezioso come nel deserto, per farti una doccia devi prima bagnarti un poco, poi stacchi il rubinetto e ti insaponi, in seguito ti risciacqui usando meno acqua possibile.
I rubinetti sono a molla e le docce temporizzate, tutto è studiato per consumarne il meno possibile.
I gabinetti sono a pompa manuale, una volta riempiti ti attacchi alla leva e pompi come un disperato finché lui, il cesso, non digerisce i tuoi avanzi.
Usando poca carta altrimenti si intasa e facendoti un veloce bidet a molla per rinfrescarti.
Tutto ciò il Conte lo digerisce a stento e si è inventato una serie di trucchetti per fregarci.
Mi domandavo perché a cena si impadronisse tutti i tappi di sughero che trovava, l’ha scoperto il babbo.
Li incastra nei rubinetti e si fa la barba con l’acqua scrosciante , ha lasciato la doccia accesa tutta la notte per rappresaglia ed ha legato il rubinetto del bidet con il filo interdentale.
Ha allagato la moquette della cabina e siamo senz’acqua, la cassa delle acque nere è piena di prezioso liquido potabile.
Il Babbo è rosso come un peperone e temo per le coronarie, sta gentilmente spiegando a Francè che è un vecchietto cattivo cattivo e ammiro il fatto che per ora non l’abbia buttato fuoribordo.
Francè sorride come al solito e dice “ O’ piede marino, O’ piede marino”
Il babbo si spara un caricatore di MS e lo manda a cagare.
Il problema è che il Signor B. ha litigato con L’Aga Kan e a Porto Cervo non possiamo entrare, a Porto Rotondo ti spelano per l’ancoraggio di un giorno e il Signor B. non ci pensa nemmeno a spendere mille lire per quei ricconi di merda.
Soluzione, il rubinetto della Baffona.
Carico il gommoncino con quattro taniconi da venticinque litri, li assicuro con una funetta e plano fino alla banchina della Baffona, riempio le taniche domandandomi chi paga quell’acqua e torno indietro lentamente quasi affondato dal peso.
Facendo un breve calcolo, con 20 viaggi me la dovrei cavare mi ci vuole 15 minuti a viaggio e cinque minuti per far issare dal babbo e Giulio le taniche piene e rimpiazzarle con altre quattro vuote, in totale dovrebbero essere circa 7 ore di avanti e indietro.
Alla quarta ora sono completamente sfinito, mi arrampico a bordo e divoro tutto quello che il cuoco mi mette davanti.
Intercetto Francè che trotterella di prua con il panama in testa.
“Conte”
“Quant’è bbella ‘stà journata”
“Conte non lo farà più vero?’”
“ ‘O sole splente comme a Capri”
Gli faccio vedere la mano spellata e piena di vesciche.
Si fruga in tasca e mi allunga diecimila lire.
Le prendo, le piego e le pianto in coperta con il coltellino da nostromo che mi porto sempre dietro.
“Bbello guaglione”
“Francè basta ‘acussì”
“Posso fare a ‘varba?”
“ Solo la barba”
“Bbello guaglione”
“Francè…”
“’O piede marino?”
“’O piede marino”
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