mercoledì 10 marzo 2010

Clarì

Ho notato nella Baffona una somiglianza inquietante con la Zia Clarì.
Sono andato a comprare il pane ed improvvisamente mi sono accorto che nascosti fra quei baffi e quella fronte bassa c’erano un paio d’occhi azzurri di un’intensità impressionante, carichi di energia.
Assolutamente inaspettati ed inadeguati a quel castorino apparentemente dimesso.
Ho messo in moto il Johnson e sono tornato a bordo, terrorizzando il solito banco di muggini diesel al centro della baia.
La zia è la sorella della mamma, mi chiama sempre “Bel Ninin sett bellezze” e continua a riempirmi di caramelle e dolcetti come da piccolo.
Ora è malata di cuore e l’ho sempre vista vestita di nero o, a scelta, nero con minuscoli fiorellini bianchi.
Anche adesso ha un’energia e una carica impressionante anche se non è molto mobile, ciò non le impedisce di andare a portare un mazzo di fiori tutti i giorni al cimitero facendo tre chilometri di strada.
Ho visto le foto di quando era ragazza e con quei capelli neri ricci tagliati un po’ corti e quello sguardo fiero mi ricordava un po’ la Giò di piccole donne.
E fiera lo era, e coraggiosa.
Una fila lunghissima di straccioni, provati dalla fame, con in mano quella tessera annonaria che ti consentiva di prendere un po’ di pane nero che sapeva di segatura, il surrogato di caffè, fatto con chissà cosa e poco altro.
Una donna piccola, con una borsa nera, si guarda intorno, passa il peso da un piede all’altro, non è la pazienza la sua dote migliore.
Un passo, fermi di nuovo.
Tanti passi ora e grida, dall'altro lato della piazza.
Schnell, Raus con quell’accento che ti mette i brividi, e colpi di calcio di fucile nelle schiene, e calci, nel culo dei rastrellati.
C’è un uomo in divisa da vigile urbano fra i prigionieri, è alto, con il mento quadrato, sanguina un po’ dalla fronte, è suo cognato.
La donna piccola con la borsa nera esce dalla fila, avanza a passo di carica con il fuoco negli occhi e comincia ad urlare: “Rumbambit, dsgraziat, cos ‘tà fat? Cos tà fat, chi ‘t portn via? Dsgraziat, mo at la dai me”
I Tedeschi fermano la colonna ed alzano le armi, il graduato fa un gesto deciso ai suoi uomini e li ferma, si sta divertendo.
La donna piccola con la borsa nera non guarda nessuno, solo il vigile, si avventa su di lui e lo colpisce prima con la borsa, poi con le mani, lo graffia, grida, come una moglie tradita, come un’amante gelosa, come un puma.
Lo sposta dalla fila, lui piegato dai suoi colpi, gli da anche un calcio nei coglioni, l’ufficiale alza vicino all’orecchio destro la mano guantata di nero.
La tiene così, sospesa, mentre la piccola donna ha perso la borsa nera e ha cominciato a tirare per un orecchio l’uomo ancora più lontano, dandogli ogni tanto dei calci nel culo e nei polpacci, ci arriva a stento.
L’ufficiale ride e abbassa la mano, ma lo fa lentamente, non è un ordine, ridono anche gli altri Tugnin, non rideranno mai più quelli che dalla colonna non sono mai usciti.

Nessun commento:

Posta un commento