martedì 24 novembre 2009

Vega

Notte, dopo tre giorni di maestrale teso ma non furioso, dopo tre giorni di noia e libri.
Calma.
Grilli, assordanti e ipnotici emettono il loro mantra personale, se respiri con loro lo capisci, il ritmo cardiaco si abbassa, il respiro rallenta.
Fermo.
Resti immobile e abbassi il diaframma dopo aver espirato tutta l’aria lentamente, tenendo le labbra appena aperte e soffiando piano, come se dovessi muovere una piuma senza farla volare via.
Ti riempi d’aria senza nemmeno accorgertene, il tuo sangue è pieno di ossigeno, la sensazione che provi alla glottide è di essere pieno, una lieve pressione come se dovessi tossire.
Scivoli in acqua al buio e ti allontani dalla poppa tonda della barca, il faro di coronamento acceso vicino all’asta della bandiera, the flagstaff.
Ti lasci andare verso il fondo, gesti lenti, misurati, che facciano consumare il meno possibile.
Forte e lento come il cuore che ti rimbomba nel torace, che si fa sentire fino alla punta delle dita, rese morbide dall’acqua.
Sei giù da qualche secondo, ti ha guidato fin lì l’incredibile fosforescenza del plancton che si attiva solo se muovi l’acqua , strie di luce, puntini verdi, creature misteriose.
Accendi finalmente il tuo nuovo tesoro, il capolavoro della Technisub, la torcia Vega, come la stella.
Le lunghe foglie della posidonia si illuminano di colpo, fluttuano nella poca corrente come lunghi capelli verdi, una corvina si immobilizza accecata dal raggio.
Sposto la luce sulla mia destra, la corvina sparisce, prende vita un'altra creatura che si immobilizza come un mimo durante il suo spostamento fuori dalla tana, un grosso tordo marvizzo, dalle labbra carnose ed i colori accesi.
Riemergo, mi sposto veloce sul pelo dell’acqua per portarmi vicino a degli scogli, almeno penso di stare andando in quella direzione, i fari accesi sulle barche in rada mi fanno da guida.
Mi infilo fra due massi e controllo le tane al disotto, brillano di saraghi immobili e un po’ spaventati, un grongo quasi nero fila via sicuro per niente infastidito dall’intrusione.
Seguo il profilo della costa rocciosa, mi incuneo in una fenditura, pomodori di mare sulle pareti, un cumulo di posidonia stappata dal mare sul fondo, foglie marroni e nere ridotte in piccoli pezzi che ti aderiscono alla pelle.
Riemergo dentro l’insenatura, il tubo cozza contro qualcosa, sputo l’acqua dalla bocca e non riesco a respirare, mi sono infilato in una specie di grotta, retrocedo veloce e spaventato, finalmente fuori, fuori, respiro a lungo e mi calmo.
Torno indietro pinneggiando lento, sposto il raggio da una parte all’altra, illumino dei totani che veloci cacciano appena sotto il pelo dell’acqua dei pesciolini minuscoli.
E’ come guardare delle diapositive o attraverso il buco di una serratura, tutto appare e prende vita solo nel cerchio sfocato della torcia, prende vita ed al contempo si ferma, per farsi ammirare.
Arrivo alla scaletta, mi levo le pinne e le lancio a bordo, atterrano con un ciak sonoro un po’ umido, mi isso sugli scalini con la torcia che, spenta, mi penzola lungo il braccio, attaccata con un cordino.
Arrivo in coperta e la bacio, poi ricomincio a respirare con i grilli.

Nessun commento:

Posta un commento