martedì 15 febbraio 2011

Cictò

“Smetla di sputar ‘t ‘m par Cictò Bum Bum.”
Il Babbo mi guarda e sorride e ricordo una descrizione fatta dal nonno, come me l’hanno riportata…

“Mentre imbocco via Cipria vedo una sagoma come di un pipistrello enorme che si accosta al muro e sento un verso inconfondibile.
Non è un brivido che mi scuote fino alle ossa ma una risata fragorosa mentre il grido squarcia la notte.
“Ferm li’a son Cicto’ Bum Bum e se t t mov ‘at fai ‘n sput n’tl mus che at’ afog”
Qui necessitano almeno tre precisazioni:
Via Cipria si chiama in realtà via Reginaldo Santacchè martire fascista, in ricordo di un ignoto cazzone che era rimasto sotto un camion durante lo sbarco del contingente italiano in Albania. Trovandosi in stato di ebbrezza e colto da una colica, si trovava con le braghe abbassate dietro un cespuglio di mirto quando era stato travolto dal soldato semplice Campagnolo Gaspare da Militello Balsamo alla guida del Camion delle salmerie.
Il primo caduto ufficiale degno di essere schiaffato su una lapide in un paesino sperduto che non gli aveva dato i natali.
La strada, sfortunatamente per lui e per la gloria del fascio, era da anni la più riservata del paese essendo incastrata tra due muri su cui non davano finestre. Il suo sviluppo serpeggiante creava non pochi angoli in cui l’uomo, la donna o l’animale trovavano quel minimo di privacy necessario per espletare le funzioni corporali. Da ciò derivava il nome volgare di via Cipria dove l’effluvio guidava il passo a schivar le merde.
Cictò Bum Bum era una delle creature più singolari del paese, maestro elementare, era impazzito per una non chiara storia di donne nei primi anni del ventennio, pare fosse implicata una duchessa o chissà chi.
Fatto sta che il povero Cictò era stato convinto a guardar donne di altro lignaggio a colpi di manganello e questo gli aveva messo fuori uso un po’ di neuroni.
Dopo un periodo di comprensibile imbarazzo per la struttura vagamente siluriforme che aveva assunto la sua testa, aveva deciso, non si sa quanto coscientemente, di diventare nobile.
Il cappello a cilindro si adattava perfettamente alla nuova forma della testa, il resto dell’abbigliamento, o come solevano dire i vecchi “muntura”, era costituito da uno splendido frac con le code e da un mantello alla Dracula con interno porpora, il tutto si presume trafugato dal bagaglio di qualche teatrante.
In un paese dove avere un paio di scarpe era un lusso Cictò risaltava abbastanza fulgidamente.
Terza precisazione, Cictò aveva un carattere di merda e una stazza fisica imponente, con i baffi neri tirati con la cera ed i basettoni a vederlo di notte con la muntura c’era da cagarsi addosso.
Siccome da nobile si comportava il rispetto del villico si aspettava, la conversazione poteva avere un andamento particolare e sfociare in episodi poco edificanti.
Meno male era cugino di mia moglie.
- Cictò ‘a son me, Giusè ‘l Parmsan
- Si presenti a modo, vile scudiero, al cospetto del Conte Aliberto Aliberti signore di Valdiluce e di Suddret, si rivolga a Noi con l’idioma di Dante, non con il ruvido dialetto di queste genti ignoranti.
- Mi scusi Eccellenza, mi pareva di aver sentito parlare in villico poco fa, non eravate Voi che vi dichiaravate tale Cictò qualcosa…
- Cictò Bum Bum per l’esattezza, è il mio alter ego che affiora in superficie quando sono alterato o un poco ebbro
- E quale delle due occasioni si era verificata poco fa?
- Quella della rabbia mio caro, essendomi inavvertitamente pisciato sulla scarpa sinistra infradiciandomi le ghette.
- Certo un ben grave affronto alla Vostra eleganza
- ‘T ‘m vo’ piar pr’ l Cul eh, Mi che ‘at dai un cazzot che ‘at amazz
- Dai Cictò, ‘sta bon ‘ca dev andar alla cava
- Va Ben Giusè as vden stasera, ciao
- Ciao Cictò non t rabiar dai
- Ciao, salut la Alba
- Ciao, at’la salut

Non so se sembro Cicto’ per il resto, non mi pare, però sputo lontano.
Ai baffi ci sto lavorando.

2 commenti:

  1. Ogni città o paesello ha i suoi matti e la loro storia. Mi ricordo da ragazzina c'era un tipo distinto che saliva sull'autobus e tempestava di domande il "pilota". Si narrava che fosse impazzito dopo una bomba esplosa vicino a lui in tempo di guerra. Poi avevamo Vinicio, che sputava e ti tirava il sacchetto degli spiccioli sulla schiena se non gli davi almeno un soldino, e Chilometro. Camminava sempre litigava coi semafori ed era spesso ingessato. Dimenticava di guardare prima di attraversare. Alessio faceva le siusky sui fossi in Venezia, sputava acqua verde dalla bocca e aveva gli anticorpi forti come bufali. Adesso di matti non se ne vedono più, forse lo siamo tutti. Però c'è ancora Filippo Bellissima.

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  2. Cavolo mi hai fatto ricordare altri tre o quattro matti, penso che si meritino anche loro un pò di spazio, Umbè d'lAvenza, Andreino, l'omino dei funerali, Cesarino ,non possono essere dimenticati.
    ci lavorerò e con molto affetto

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