venerdì 24 settembre 2010

Barracuda e Champagne

Mi ha morso sul naso.
A me.
Mi ha morso sul naso e mi ha fatto sanguinare.
George.
George il bassotto.
Contando che sono circa un metro e ottantacinque ed il bastardo in questione non arriva, su quelle zampette del cazzo, ai 20 centimetri di altezza la cosa sembra un po’ inverosimile.
Ma intanto perdo sangue da due solchi ai lati del naso.
‘Fanculo George, infido esserino fatto a salsiccia focata, io sono abituato a ben altri cani, ho disinnescato  i figli di Barracuda e sono amato da tutti i cani della terra, mi hai ferito nell’orgoglio più che nel mio enorme naso.
Ci sono rimasto veramente male, i miei amici mi chiamano l’amico degli animali e mi sono sempre fidato di tutti i quattrozampe, loro lo sentono e facciamo subito amicizia.
Anche i temuti Barracuda come dicevo.
Barracuda il capostipite era una specie di pastore belga oversize deputato alla sorveglianza del cantiere dove veniva regolarmente rimessato il Galateia.
Silenzioso, veloce, dall’abbaio agghiacciante, pattugliava il cantiere e chi non era schedato fra gli amici veniva azzannato al polpaccio o, a scelta, all’inguine.
Io ero amico nella sua scheda da ragioniere belga, avevo passato la prova di iniziazione che consisteva nel farsi annusare il cavallo dei pantaloni sperando in Dio.
Aveva passato l’informazione anche ai suoi numerosi figli per cui io ero a posto, solo la Nerina aveva provato un agguato mentre di notte pisciavo allegramente nelle acque del fiume, colta sul fatto era stata inzuppata a dovere e non mi aveva più disturbato.
Barracuda il padre teneva sommamente al controllo della popolazione di gatti del Conte Verde, la cui villa ricoperta di edera confina con il cantiere.
Attuava un costante sfoltimento che aveva portato con gli anni a selezionare una razza di gatti velocissimi e dalle carni velenose, gli unici che potevano sopravvivergli.
L’unica volta che Barracuda è andato un po’ in difficoltà è stato quando l’hanno portato per funghi.

Formazione di partenza:
Gino, il padrone del cantiere, alla guida della preziosissima Lancia Flavia blu notte con moquette beige.
Il Comandante con stivaletti bassi di gomma e uno zaino di Ms, sul sedile davanti
La Ghifa e Barracuda seduti dietro.
Meta: Cerreto Laghi.

Terzo tornante dopo Fivizzano, Gino tira una seconda, il Comandante fuma, La Ghifa mugna un motivetto incomprensibile, Barracuda scoreggia.
La colpa ricade ovviamente sulla Ghifa, che se ne fotte e continua la litania.

Settimo tornate dopo Fivizzano, Barracuda uggiola e tira un peto terrificante che sibila come un ufo che entra nell’atmosfera, Gino scala in prima grattando brutalmente, il Comandante bestemmia, la Ghifa apre il vetro dalla sua parte.
Viene individuato il cane come possibile problema.

Tredicesimo tornante dopo Fivizzano, mantenendo la cabala dei tornanti dispari il lupoide si gira con un guaito verso la Ghifa, poggia il culo sul vetro del finestrino, tenta di emettere aria ma l’effetto contraccolpo lo proietta addosso al Ghifone che, senza fare una piega, afferra i testicoli del cane e li torce a caramella.
Il cane vomita sulla moquette beige.
Sosta obbligata , Gino pulisce ed invoca Odino, la Ghifa si sgranchisce le gambe, il comandante si inerpica su un poggio e trova dodici tonnellate di funghi in 4 minuti, però nemmeno un porcino.

Il cane è tristissimo e non vuole risalire in macchina, soprattutto pare non gradisca la presenza della Ghifa sul sedile posteriore, vengono proposte diverse formazioni compresa una improbabile con il cane alla guida, alla fine Il comandante si accomoda dietro e il cane davanti.

Quindicesimo tornante dopo Fivizzano la Ghifa scoreggia e dà la colpa al cane che non regge l’affronto e vomita di nuovo sul cruscotto, Gino si commuove e cerca di consolarlo, il comandante ne ha le palle piene, tanto i funghi già ci sono, e obbliga la comitiva alla ritirata strategica.
Barracuda ferito nell’orgoglio rimase abbacchiato per diversi giorni poi riprese coscienziosamente lo sterminio.

Sorrido al ricordo mentre mi tampono il naso, George mi guarda, stappo la bottiglia di champagne che mi hanno chiesto gli ospiti, accomodati sulle sedie da regista di poppa, e ne verso un po’ nella ciotola del cane, rabbocco la bottiglia con una identica quantità di piscio e mi avvio con i calici in mano.

La colpa non è mai dei cani, ma dei padroni.

3 commenti:

  1. E' una storia schifosa, di quelle che potrei raccontare sui miei figli, che mi appicciccano le caccole in testa o mi mettono il culo in faccia subito dopo una scurreggia. Per questo è bellissima. La colpa è dei genitori, non dei figli.

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  2. Ci ho messo troppe puzze o troppo vomito?

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