mercoledì 28 ottobre 2009

Immobile

“ ‘T sen armas lì ferm come ‘l Monolite ‘d Mussolini”
Effettivamente ho assistito alla partita del secolo, probabilmente del millennio, contravvenendo a tutte le mie regole di scaramanzia.
Ero talmente teso che ad ogni guizzo da muggine di Pablito Rossi, alle risposte veementi di quei diavoli scatenati, al pareggio sanguinoso di quel pezzo di merda di Falcao, alla parata all’ultimo secondo di un miope e fenomenale Zoff, ho reagito grattando con le unghie il bordo di metallo del sesto gradino su cui ero seduto, urlando fortissimo ma rimanendo assolutamente fermo.
Praticamente ero là con tutto me stesso, mi ero smaterializzato ed ero riapparso sulle tribune del Sarrià con un occhio alla partita ed uno sguardo fugace a quella brasiliana che si alzava la maglietta per asciugarsi le lacrime.
Secondo me dopo questa non ci ferma più nessuno, vinciamo il Mondiale.
Riatterro dentro me stesso e mi rendo conto di essere completamente indolenzito e felice.
Però la storia del Monolite la ricordo bene.
Il fascio ha sempre avuto un rapporto stretto con il marmo, rifacendosi al fulgido simbolismo romano non potevano evitare di rompere i maroni ai cavatori.
Già il vate D’Annunzio aveva fatto le prove nei primi anni del secolo, era stato invitato alla Varata della Storia, in pratica doveva accendere la miccia ad una mina di 24.000 chilogrammi di polvere pirica che avrebbe dovuto consentire un’estrazione miracolosa.
Al momento dell’accensione l’astuto poeta si rese irreperibile ed inviò una terrorizzata Madrina a 1200 metri di quota.
Il cataclisma che ne derivò fu commentato con immortali parole dal Sommo mentre probabilmente si stava facendo praticare un mugolone dalla seconda Madrina che si era portato al seguito:
“La montagna si piega gemendo”
Anni dopo il Pelatone ordinò l’estrazione del Monolite, un mostro di 300 tonnellate lungo 18 metri che doveva essere eretto come simbolo fallico al Foro Mussolini, ora Foro Italico.
L’estrazione ed il trasporto furono faticosissimi, vennero distrutte abitazioni, ponti e strade allargati per consentire di spostare, tirato da 60 paia di buoi, il mostro dalla cava Carbonera alla spiaggia di Marina.
Tutti i cavatori anarchici si rifiutarono di partecipare e vennero adeguatamente manganellati, gli espropriati furono convinti con le buone, ci volle un anno intero per percorrere undici chilometri, con la grottesca vessazione finale della trattenuta di un giorno di paga per coprire i costi di trasporto.
Gli abitanti tutto sommato la presero bene guardando sconsolati tutto quello spreco di fatica, soldi e risorse la definirono sagacemente “La più grande segata della storia”
Chapeau.

martedì 13 ottobre 2009

Garota de Ipanema

Ci siamo mossi addirittura la mattina, fondo a Cugnana e spostamento fino a Porto Rotondo con il gommone grosso.
A bordo una Grinza versione fatalona con pareo, foulard al collo, cappello di paglia a tesa larga e occhialoni alla Mina, il Signor B. con immancabile camicione in lino color tranviere e pantaloni a mezza gamba stile mi son cagato addosso.
Li ho lasciati lì in preda ad una rara voglia di confondersi con altri esseri umani e sono scappato a Cugnana, avevo circa due ore di tempo.
Il posto non è bellissimo, stanno costruendo un residence spropositato che avrà come unica attrattiva quella di essere vicino al Porto dei Boriosi, però meno caro.
Non so perché questa cosa mi fa un po’ incazzare, veder violata la natura mi mette sempre in uno stato di profondo struggimento, non sarei mai in grado di abbattere una pianta, neanche per costruirci un’opera d’arte al suo posto, sono strano.
Mi smutando ed indosso il costume a righe ipnotico, cintura di piombi e via.
Sott’acqua fa ancora più schifo, il fondo è basso a ciottoli piuttosto grossi, ricoperti da una sorta di mucillaggine, nessuna creatura in vista, l’acqua è calda e torbida, inquinata dagli spurghi del cantiere.
Continuo a pinneggiare nel golfetto stretto e lungo ma la situazione non cambia, tocco con la mano le alghe ricavandone una sensazione di fastidio, attraverso la maschera me la guardo e mi sembra di aver indossato un guanto verde di velluto.
Scuoto la mano e provo a trovare un bersaglio per scaricare il fucile prima di far ritorno al gommone, si staglia in un metro scarso d’acqua un bicchierino di plastica affondato.
Sarà la mia preda, mi allontano fino alla portata massima del fucile, mi immergo e lo prendo di mira, non voglio sparare prima di aver completato l’aria nei polmoni.
Sparo e centro il bicchiere che si divide in quattro petali, al click sommesso del meccanismo di apertura mi si drizzano i peli del braccio destro, lentamente mi sfila da quel lato una creatura bellissima.
Alzo la testa un attimo e respiro, mi sorpassa guardandomi con il suo enorme occhio sinistro, inizio a recuperare il più lentamente possibile la sagola del fucile mentre lei si posiziona proprio davanti a me, mostrandosi in tutto il suo splendore.
E’ una ricciola enorme, la linea laterale colorata di verde e oro, uno sbuffo di nero sugli occhi come ombretto tirato verso l’alto, l’abito argenteo fatto di minuscole squame.
Resta lì immobile mentre infilo l’asta nel fucile e con la massima cura la faccio scivolare fino ad incastrarla nell’apposito incasso.
Il rumore che produce è minimo, a me sembra un tuono, abbasso gli occhi per controllare che tutto sia a posto, li rialzo, lei non c’è più, sparita.
Mi accanisco di nuovo sui resti del bicchiere, torno al gommone crogiolandomi nella certezza che non le avrei mai sparato.
Mi isso pesantemente a bordo togliendomi la cintura senza riuscire a scrollarmi di dosso una profonda sensazione di gioia e di fastidio per quello che ho visto, per quello che avrei potuto fare.
Una signora verde e oro è venuta in una fogna, mi ha sedotto ed è sparita, volendo essere specifici mi ha preso pure per il culo.
E cazzo fra tre ore c’è il Brasile.